IL CASTORO | Nelle pietre l’orrore di Auschwitz
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Edoardo Argnani
Uno studente del liceo linguistico, accompagnato da altri 39 ragazzi dei licei di Faenza e Lugo, dalla preside e da quattro docenti, entra per la prima volta nel campo di concentramento nazista di Auschwitz.
«Erano scalzi allora, o forse in zoccoli marci quei piedi gonfi, sporchi e crepati dal freddo che consumarono queste pietre. Più di un milione di anime, miliardi di passaggi, piedi su piedi che si accavallano nervosamente nello spazio buio e angusto di una baracca di legno. Tutto è poi ritmato dal vento gelido e da quel fragorio di betulle del bosco. Ad Auschwitz è freddo, la fame è più forte, e lamenti e grida salgono da quella paglia ghiacciata che cela la terra e le pietre che oggi vediamo. Non è facile immaginarsi la scena, non è facile entrare in quei luoghi e pensare “qui si moriva davvero, qui si viveva per morire”. Perché l’erba tagliata, e i gruppi di turisti, le scolaresche, e quegli ultimi raggi di sole di un autunno ormai finito tradiscono e imbrogliano gli occhi e la mente di noi tutti, che siamo partiti per toccare con mano la casa del male dell’uomo e l’apice della sua ragionatissima perfidia. Siamo ad Auschwitz, varchiamo il cancello, poi abbasso lo sguardo. Tra muri ripuliti, legni trattati e pannelli sento di vedere ben poco di davvero autentico, e mi ritrovo a chiedere a me stesso dove sono. Poi rifletto, guardo a terra di nuovo e vedo e mi vengono i brividi e mi vergogno di aver pensato che quel luogo non custodisse più la sua autenticità. Poi mi siedo a terra, lì proprio lì su quel pavimento dove quei piedi esausti avevano camminato per l’ultima volta e capisco davvero, o credo di capire, e realizzo dove mi trovo. Cerco di comprendere quante persone sono state ammazzate lì dentro, mi interrogo sul chi e sul come, ripenso a mio nonno e poi riprendo il cammino. Capisco di non aver capito proprio nulla, ma per una volta mi basta».
La Shoah è stata il più grande genocidio che la storia abbia mai conosciuto. Furono sei milioni gli ebrei, cinque milioni gli appartenenti ad altri gruppi etnici o sociali come rom, sinti, omosessuali, disabili, testimoni di Geova, disertori e dissidenti politici che trovarono la morte dal 1941 al 1945, per volere del nazi-fascismo e sotto gli occhi di molti. Una realtà che «se comprendere è difficile, conoscere è necessario», diceva Primo Levi, tra i più autorevoli testimoni del genocidio.
Toccare con mano la mostruosità di Auschwitz e degli altri campi di concentramento e sterminio risulta oggi una condizione necessaria per la crescita consapevole delle future generazioni, il mezzo più efficace, oggi, per sviluppare di concerto una memoria collettiva e consapevole di ciò che fu. Portare le classi nei luoghi dello sterminio è un dovere necessario della scuola, rea, secondo alcuni, di limitare i propri insegnamenti a poche polverose pagine, a sterili ricorrenze. Usciti da Auschwitz, i ragazzi del nostro liceo si sono trovati cambiati, diversi e ognuno a proprio modo ha potuto raccogliere un granello di quella cenere e l’ha portato con sé.
Ora siamo noi i testimoni indiretti della Shoah. Ed è proprio a partire da questi frammenti, da queste suggestioni, da storie e immagini raccolte e raccontate che, dal 24 gennaio al 3 febbraio, saremo protagonisti di una restituzione dell’esperienza sotto forma di mostra presso i locali di Faventia Sales.