IL CASTORO | Marco Sandrone di «Medici senza Frontiere» racconta l’emergenza umanitaria nella regione congolese
Alex Ballieu
Sono bastate poche settimane a generare una situazione di allerta nazionale in Congo: sin dalle elezioni politiche, avvenute durante il mese di dicembre, la Repubblica si è trovata di fronte a una serie di importanti problematiche.
La fase elettorale, teoricamente un momento chiave per esprimere la volontà popolare, è stata compromessa da irregolarità logistiche e problemi di sicurezza, che hanno portato a violenze e atti di incitamento all’odio.
Durante le votazioni che hanno interessato oltre 44 milioni di cittadini congolesi, si sono verificati disordini e contestazioni: circa 75mila seggi hanno aperto le porte con ritardi evidenti, portando ad una diffusa disorganizzazione. Persino nella capitale Kinshasa, molti seggi non hanno rispettato il regolare orario di apertura e hanno protratto le procedure di voto fino a tarda notte.
Nello specifico, in Kivu, una regione nel nord-est del Congo, la tornata elettorale ha attirato l’attenzione di un gruppo di ribelli del Ruanda, gli M23, con la finalità di falsarne l’esito: intere comunità sono state costrette a lasciare le proprie case e a vivere in condizioni estremamente precarie nei campi per sfollati. Inoltre, la Ceni, Commissione elettorale nazionale indipendente, ha ammesso di non essere riuscita a organizzare il processo elettorale nelle zone controllate dai ribelli.
Per motivi di sicurezza, sono quindi stati temporaneamente chiusi i confini della regione del Kivu, consentendo l’accesso esclusivamente al personale medico. Attualmente, l’organizzazione sanitaria di maggiore rilievo operante in Congo, oltre a quella locale, è Medici Senza Frontiere, che si impegna quotidianamente nel fornire assistenza medica a centinaia di sfollati in diverse aree della Repubblica. «Tra i rischi principali rientrano quelli di epidemie legate al mancato accesso all’acqua potabile e a servizi igienici adeguati, come il colera (approssimativamente 31.500 casi nei primi 7 mesi del 2023) e il morbillo - afferma Marco Sandrone, project coordinator per le operazioni a Masisi, Nord Kivu - la malnutrizione, il rischio di insicurezza generato dalla guerra e di conseguenza le complicazioni legate al trasporto dei medicinali e dei rifornimenti».
Siamo di fronte all’azione più rilevante del gruppo ribelle a partire dal febbraio 2021, data in cui avvenne l’omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso in un attacco armato insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo, mentre viaggiava in un convoglio delle Nazioni Unite vicino alla città di Goma. La sua morte ha sollevato diversi interrogativi sulle capacità delle autorità locali e internazionali di garantire la sicurezza, tuttora irrisolti: è stata infatti recentemente impedita la prosecuzione del processo degli accusati, per difetto di giurisdizione, legato all’immunità diplomatica.
Secondo Sandrone «in Kivu, la situazione è complicata non solo a causa della diffusa corruzione politica, ma anche per gli interessi stranieri che contribuiscono a oscurare le dinamiche e a rendere più difficile la ricerca della verità, sia per il caso dell’ambasciatore italiano che per tutte le violenze subite dalla popolazione ogni giorno». Continua Sandrone: «Le difficoltà sono molteplici e fanno parte della realtà di un contesto complesso, in continua evoluzione. Ci siamo trovati di fronte all’esigenza costante di rimodulare i nostri interventi e le nostre capacità in funzione dei bisogni crescenti: oltre alle attività legate alla gestione di ospedali e cliniche, abbiamo cercato di rispondere agli evidenti bisogni delle persone costantemente sfollate a causa degli scontri armati. Non va trascurato nemmeno l’enorme impatto sia diretto che indiretto dei conflitti sulla popolazione già indebolita da oltre 40 anni di scontri. Lo si può misurare con lo scarso accesso alla sanità pubblica, violenze continue, impossibilità di coltivare le terre con conseguente malnutrizione, soprattutto infantile. Le implicazioni sono numerose e si traducono in bisogni molto più grandi rispetto alla capacità di risposta del servizio sanitario locale o delle organizzazioni mediche e umanitarie».
La situazione nel Nord Kivu rimane una sfida urgente, che richiede un impegno globale e coordinato per garantire una risposta efficace e tempestiva: «Serve una mobilitazione delle coscienze ed una spinta politica verso una soluzione pacifica al conflitto» conclude Sandrone.