IL CASTORO | Luciana Castellina interviene sulla prigionia di Patrick Zaki

Romagna | 21 Marzo 2021 Blog Settesere
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Edoardo Miserocchi

Il 7 dicembre 2020, la presidenza francese ha organizzato un incontro di gala in cui parlare dei numerosi problemi legati alla questione dei diritti umani in Egitto, che si è presto trasformato in una serata in onore del governo egiziano. Il tutto si è concluso con Emmanuel Macron che ha conferito al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi la Grande Croce della Legion d’Onore francese, il massimo riconoscimento della République. Questa decisione ha scatenato reazioni di sdegno da parte di molti italiani insigniti della stessa onorificenza. Costoro hanno deciso di rifiutare il titolo in nome della libertà di Patrick Zaki, ancora detenuto dal governo del Cairo. Tra di loro c’è anche Luciana Castellina, politica, giornalista e scrittrice italiana, deputata dal 1976 al 1992 nelle fila dell’estrema sinistra.

Perché ha deciso di rinunciare al titolo onorario di ufficiale dell’ordine delle arti e delle lettere?

«Non è stato un grande sacrificio rifiutare una decorazione del genere. Se mi avessero chiesto di rinunciare a un milione di euro sarebbe stato molto più complicato. Il mio è stato un gesto simbolico, in quanto quell’onorificenza non rappresenta ciò di cui seriamente abbiamo bisogno. Purtroppo per Zaki non possiamo fare molto, ma dobbiamo cercare di utilizzare al meglio le nostre possibilità di incidere».

Cosa ne pensa degli italiani, come ad esempio Letta o Bonino, che hanno deciso di non rifiutare l’onorificenza?

«Onestamente non so neanche chi abbia avuto delle decorazioni dalla Francia, però non dobbiamo essere pessimisti, sono stati molti che hanno deciso di rinunciare alla legion d’onore. Non avrei mai creduto che Macron potesse fare un gesto simile e l’ho comunicato all’ambasciatore francese nella mia lettera di rifiuto. Il fatto che il paese promotore dei diritti dell’uomo abbia onorato Al-Sisi nei giorni più acuti nel processo per l’uccisione di Giulio Regeni è scandaloso».

Come giudica la mossa di Macron? Considerando anche gli avvenimenti passati, incluso il caso Regeni, crede che l’Europa sia succube dell’Egitto?

«L’Egitto, come tutti quanti i paesi produttori di petrolio, ha un potere non indifferente sull’Europa capitalista. Macron ha ricevuto in Francia con tanti onori Al-Sisi, perché spera di sostituirsi all’Eni, sfruttando la possibile rottura dei rapporti diplomatici tra il colosso del greggio italiano e l’Egitto, per via della contesa sulla scarcerazione di Zaki. In questa storia Al-Sisi sembra uno dei più buoni, mentre l’Eni e Macron sono uno peggio dell’altro. La questione più complessa è interrompere i rapporti con l’Egitto, perché significherebbe fare a meno di tonnellate di barili di petrolio ed essere costretti a velocizzare la transizione alle energie rinnovabili».

È da più di un anno che Patrick Zaki è imprigionato in Egitto, ma solo ultimamente è stato oggetto dell’attenzione della cronaca. Crede che l’Italia debba esporsi maggiormente in questa vicenda?

«Non lo so. Probabilmente dobbiamo combattere per la libertà di Zaki, ma allo stesso tempo impegnarci in una svolta a favore delle energie rinnovabili. Ciò non solo è necessario al pianeta, ma consentirebbe all’Italia di liberarsi dalla schiavitù del petrolio e da tutti quei regimi, élite e padroni che impongono le condizioni di vita attuali».

Come giudica la posizione dell’Europa nei casi Zaki e Regeni?

«L’Europa si trova ora in una brutta situazione, perché subisce le conseguenze delle azioni passate. La prima cosa da rispettare è la cultura dell’altro. Una certa spocchia occidentale invece fa credere che la nostra cultura sia la migliore prodotta. È una visione che va bene a noi, creata da noi. Se l’Egitto e gli altri stati colonizzati sono ora regimi autoritari totalmente diversi dai nostri, dove la democrazia è solo un sogno, la colpa iniziale è delle stesse nazioni che hanno colonizzato quei luoghi, uccidendo chi voleva lottare per i propri diritti».

Se l’Europa ha tenuto una posizione attendista, come valuta gli interventi del Papa in merito?

«L’enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco critica alcuni nostri movimenti politici che si sono innamorati del comunitarismo. La comunità è molto importante, è uno stile di vita, è sentirsi solidali, ma non deve rischiare di chiudersi dentro il proprio territorio. Come dice il mio compagno Bergoglio - lo chiamo compagno e non è da sottovalutare questo termine - bisogna stimolare questo sguardo verso l’altrove, quindi anche verso l’Egitto. Il papa dice una bellissima frase: “Il locale va messo sempre in rapporto dialettico con il globale, perché dobbiamo guardare altrove”».

È ancora possibile la lotta politica oggi?

«La mia generazione non ha fatto granché. Il mio contributo è iniziato nel ’46, quando tutto era più facile, c’erano grandi speranze e voglia di cambiare. Noi siamo stati molto fortunati, mentre voi giovani d’oggi lo siete meno, perché nati in una fase in cui la democrazia ha consentito un compromesso con il capitalismo, incattivitosi negli ultimi anni. Molti diritti sono stati cancellati, come quelli garantiti dall’articolo 18. Per ritenersi felici e fortunati bisogna collaborare. Operare da soli è avarizia, fare tante cose insieme è politica».

Come è possibile che nel 2021 i diritti inalienabili non vengano tutelati, anche quando le violazioni sono evidenti a livello internazionale?

«Avere una democrazia, anche molto difettosa come la nostra, è un previlegio. Finché non si riflette sull’idea di libertà e ciò che essa comporta, i diritti non saranno mai presenti. La rivoluzione francese è stata fatta in nome della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità. La prima è stata conquistata, la seconda no. Con la rivoluzione russa, invece, si è raggiunta l’uguaglianza, ma non la libertà. Abbiamo bisogno di entrambe e allo stesso tempo, perché se manca una delle due si ha una società storpia e zoppa».

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