IL CASTORO | Iran, «L’attacco ai diritti delle donne è un attacco ai diritti umani»

Romagna | 21 Dicembre 2022 Blog Settesere
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Beatrice Ghinassi
Da ormai tre mesi in Iran, per le strade, migliaia di persone stanno protestando, dopo la morte di Mahsa Amini, in seguito a un fermo della polizia morale, perché non indossava correttamente il velo. In un rapporto dell’ufficio del medico legale si legge che sarebbe morta a causa di condizioni preesistenti, ma la sua famiglia ha detto di sospettare che sia stata picchiata. A inizio dicembre, la polizia morale sarebbe stata abolita, secondo quanto ha riferito il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri, notizia che molti attivisti indicano essere falsa. La rivolta intanto non accenna a placarsi. Abbiamo parlato dell’attuale situazione con una ragazza iraniana che studia in Europa, della quale non riveleremo il nome per garantirne l’incolumità.
Perché hai deciso di rimanere anonima?
«Il governo iraniano è noto per il controllo che esercita sui suoi cittadini, anche quelli che vivono all’estero. Ci sono stati alcuni miei connazionali che, arrivati in Iran, sono stati imprigionati per azioni compiute in altri Paesi; anche solo condividere sui social contenuti antigovernativi può creare problemi. Comunque, durante le recenti rivolte, il numero dei protestanti è cresciuto ed è diventato così alto che è troppo difficile per il governo punirli tutti. Io ho postato molti contenuti antigovernativi su diverse piattaforme social, come tanti miei connazionali. In più ho partecipato a manifestazioni qui in Europa, pertanto non voglio rischiare di creare problemi alla mia famiglia, che al momento vive in Iran».
Che cosa pensi della morte di Mahsa Amini e della responsabilità della polizia morale?
«In Iran la polizia morale è ancora operativa. Che sia stata sciolta è una storia falsa inventata dal regime per far credere agli altri Paesi che tutto sia finito. Dando questa notizia, i media occidentali hanno pubblicato propaganda senza verificare i fatti. La polizia morale ha il compito di monitorare l’abbigliamento delle donne per strada. Normalmente, quando ferma una donna, la conduce poi in un suo centro dove lei deve firmare dei documenti, con i quali si impegna a rispettare il codice di abbigliamento. Qualche volta però le donne fermate si oppongono, rifiutandosi di seguire la polizia. In situazioni del genere, la polizia può diventare violenta. Mahsa Amini probabilmente si è rifiutata di andare al centro di polizia e questa deve aver reagito colpendola, il che non è assolutamente una cosa normale in Iran!».
Cosa ne pensi delle rivolte nate in seguito a questo episodio?
«In realtà noi non le chiamiamo più rivolte o proteste. Crediamo che sia una rivoluzione. È da mesi che le persone stanno combattendo la polizia nelle strade ed è la prima volta che siamo così uniti e pensiamo tutti alla stessa cosa: la libertà. Il bello è che questa rivoluzione, nonostante in Iran ci siano problemi di varia natura, è stata iniziata per difendere i diritti delle donne ed è la prima rivoluzione della storia che nasce in loro difesa. Questo è il motivo per cui il mondo sta prestando attenzione alle proteste. Di solito, di fronte a scenari di protesta, si chiede alle donne di aspettare, perché ci sono ‘cose più importanti’ da fare, prima di parlare della situazione femminile, ma questa volta la nostra prima istanza è il rispetto dei diritti delle donne e delle minoranze. Poi, certo, vogliamo anche libertà, giustizia in tutti gli ambiti della quotidianità».
Pensi che queste rivolte porteranno a un cambiamento?
«È la lotta per la libertà più importante che sia mai stata combattuta in Iran. Potrebbero passare mesi o anche un paio d’anni prima che il regime collassi, ma crediamo che ciò alla fine avverrà. E con l’istituzione della democrazia, sicuramente, ci saranno enormi cambiamenti. Abbiamo sempre combattuto il regime e le sue leggi sessiste e inumane, ma è la prima volta che il mondo ci sente».
Se ciò non accadesse, cosa potrebbe succedere?
«L’attuale situazione probabilmente peggiorerebbe: il regime diverrebbe più oppressivo che mai, perché non ha più nulla da perdere».
Pensi che la religione islamica sia stata strumentalizzata dall’attuale governo dell’Iran?
«Il regime attuale è una dittatura ma si presenta come una repubblica islamica. Il governo sta in realtà abusando dell’Islam per controllare una nazione. È la ragione per cui chiediamo un governo laico e non uno islamico. Il governo sta usando l’Islam come strumento per controllare e limitare le donne. È importante notare che gli uomini iraniani hanno capito che non saranno mai davvero liberi se le donne del loro paese non lo sono. Hanno capito che l’attacco ai diritti delle donne è un attacco ai diritti umani. Questa è la ragione per cui combattono insieme alla donne nelle strade. Vorrei aggiungere che certe persone collegano il movimento all’islamofobia. Invece è molto diverso. Non abbiamo alcun problema con l’Islam di per sé. Infatti molte persone che ora stanno combattendo il regime islamico sono mussulmani».
Sei al corrente di altre proteste non note in Occidente?
«Ci sono state delle proteste a livello nazionale, nel 2019, conosciute come bloody November, e prima ce ne sono state altre per le elezioni del presidente iraniano nel 2009. Nessuna delle rivolte sopracitate è stata grande come questa, in cui anche gli addetti delle compagnie petrolifere e i loro camionisti hanno scioperato, per dare il loro supporto alle persone scese in strada».
Che cosa pensi del codice di abbigliamento per le donne, ancora obbligatorio in Iran?
«La maggior parte delle persone vuole la rimozione di qualsiasi codice di abbigliamento obbligatorio. Non vogliamo costringere le persone a indossare l’hijab e non vogliamo nemmeno strapparlo a forza dalla testa delle iraniane».
C’è qualcosa che vorresti dire al mondo occidentale?
«Sì. In tutto il mondo c’è un’immagine sbagliata del Medio Oriente e delle persone che ci vivono. Al contrario dello stereotipo che gli europei hanno delle donne medio-orientali, siamo molto istruite e informate. Secondo il Middle east institute il 97% delle donne iraniane sono alfabetizzate e più del 60% degli studenti universitari iraniani sono donne».
Quanto siete informati riguardo allo stile di vita dell’Occidente? Quanto influisce la censura?
«I giovani iraniani scelgono i contenuti che vogliono guardare su Youtube, quindi sono a conoscenza dello stile di vita occidentale. Forse è questo che spinge gli adolescenti a protestare per le strade, perché vedono come potrebbe essere la loro vita se non ci fosse la dittatura della Repubblica iraniana. C’è una censura attiva in Iran, tuttavia, è assai comune accedere a piattaforme vietate utilizzando reti private virtuali (vpn)».
Come dovrebbero comportarsi i governi occidentali di fronte a ciò che sta succedendo in Iran?
«Il mondo potrebbe prestare più attenzione alla rivoluzione che sta avvenendo in questo momento. Ci sono voluti 20 giorni prima che molte importanti figure politiche come i presidenti Joe Biden, Justin Trudeau ed Emmanuel Macron rilasciassero un commento sull’argomento. Gli iraniani vogliono solo che il mondo smetta di fare accordi, soprattutto per comprare il petrolio, con i leader della Repubblica islamica dell’Iran. Essi arricchiscono il regime e gli consentono di reprimere ulteriormente le persone».
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