Jacopo Venturi
Come sarebbe la nostra società se condividessimo tutti le stesse opinioni? O se non le mettessimo mai in dubbio?
Le informazioni che si prendono come vere si amplificherebbero in ogni individuo e rimarrebbero le uniche universalmente valide. In questi casi si verificherebbe il fenomeno di camera dell’eco, o echo chamber, al giorno d’oggi molto più frequente di quanto pensiamo. Per quanto ciò accada anche nella vita reale, accediamo a una camera dell’eco ogni qualvolta utilizziamo social network o facciamo ricerche online. Spesso ci imbattiamo in pubblicità pertinenti ai nostri interessi, leggiamo notizie che il nostro motore di ricerca ci ha «consigliato» secondo le ultime attività digitali, persino i siti di incontri ci danno la possibilità di conoscere potenziali partner che si avvicinano a profili recentemente contattati. Responsabili di questo fenomeno, accattivante ma allo stesso tempo pericoloso, sono gli algoritmi delle piattaforme digitali come quelli di Facebook o Google: sequenze di calcolo per cui, tramite precise analisi dei dati virtuali di ogni utente, gli account vengono indirizzati verso contenuti pertinenti alla loro attività digitale.
L’apparente finalità di connettere tra di loro persone, si rivela in realtà una facciata fasulla. Il reale obiettivo di tali servizi diventa quindi soltanto quello di guadagnare ascolti, click, pubblicità e trarne profitto economico. Le camere dell’eco, unite alla comprensione approssimativa dei contenuti e talvolta addirittura alla presunzione di essere esperti riguardo all’argomento trattato, portano nei casi peggiori anche alla diffusione di fake news.
Secondo Paolo Attivissimo - giornalista informatico, esperto di debunking e scrittore del blog antibufale «Il Disinformatico» - per difendersi da informazioni false è necessario conoscere i meccanismi che le generano quali il sensazionalismo, la scarsa preparazione di alcuni giornalisti, la propaganda politica organizzata, il fenomeno psicologico del bias di conferma, secondo il quale si tende a prendere per vero solo ciò che si crede già tale. Non ultimi i sempre più comuni titoli giornalistici clickbait (acchiappa-click), spesso non coerenti con le informazioni esposte nell’articolo. In caso di mancanza di tempo l’unica maniera per evitare la divulgazione di bufale è non diffonderle.
Se consideriamo il fenomeno dell’hating, inoltre, come sostiene Piergiorgio Degli Esposti - professore del dipartimento di sociologia dell’università di Bologna - esso è amplificato nel contesto di una camera dell’eco nei social media. In molti utenti l’ambiente dei social network alimenta una sensazione di impunità, che spinge a esprimersi molto più aggressivamente di quanto si farebbe faccia a faccia. Come al di fuori degli schermi un bullo, per esempio, può essere sostenuto, ma anche criticato, da un gruppo di persone, ciò potrà accadere dietro una tastiera tramite un processo di imitazione di un numero di utenti, che appare molto più numeroso di quanto sarebbe in realtà.
Armarsi di spirito critico, prendere in considerazione più fonti attendibili e confrontarsi con esperti, aprendosi a nuove idee, sono forse gli unici antidoti per difendersi dalle camere dell’eco, dentro e fuori dagli schermi.