IL CASTORO | Il conflitto con l’Ucraina visto dalla russa critica Mayya Davidis

Romagna | 02 Giugno 2022 Blog Settesere
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Alessandro Barlotti
Ad alcuni russi la guerra sembra un grottesco evento generato da nostalgie sovietiche. È il caso di Mayya Davidis, cinquantenne, laureata in arti figurative all’istituto di Pedagogia di Mosca. In Italia lavora come accompagnatrice turistica.
Cosa ne pensa del conflitto tra Russia e Ucraina?
«Penso che sia un disastro; in russo c’è proprio la parola katastrofa, che significa catastrofe. La vedo come una cosa assolutamente spaventosa e impensabile, che mi ha fatto subito venire un groppo alla gola che non mi passa dal 24 febbraio; non riesco proprio a capacitarmene».
Suo fratello è Sergey Davidis, attivista per i diritti umani di Memorial.
«Sì, fino a pochi mesi fa era un responsabile di Memorial, un’organizzazione fondata da Andrej Sacharov per conservare e promuovere la memoria dei crimini dell’epoca di Stalin. In più organizzava anche l’assistenza legale dei dissidenti, grazie a un gruppo di avvocati associati e pagati con contributi volontari. Mio fratello ha anche provato a candidarsi come deputato della regione di Mosca, però non ha mai avuto successo. Memorial è stata definitivamente chiusa, perché accusata di agire contro il governo e di stilare liste false delle persone che avrebbero subìto persecuzioni. Quindi lui, dato che crescevano sempre più le repressioni da parte del governo, in una settimana ha raccolto quello che poteva ed è scappato in auto a Vilnius, Lituania. Dall’inizio della guerra è stata introdotta una legge che vieta persino di dire la parola guerra, da sostituire obbligatoriamente con operazione militare speciale. Anche dire: “Io sono per la pace” per le autorità russe significa che si è contro perché le si sta screditando. Per me tutto ciò è assurdo».
È d’accordo con chi afferma che la cultura russa è fondamentalmente slavofila?
«C’è un movimento di pensiero slavofilo, che esiste dall’Ottocento, che afferma l’idea secondo cui il popolo russo è speciale e unico: dovrebbe pertanto seguire la sua strada, senza farsi influenzare dall’Occidente; non deve assolutamente cambiare le sue tradizioni, come avrebbe fatto l’Europa, che si è fatta assorbire dalle logiche consumistiche, legate all’economia degli Stati Uniti. Questa è la mentalità fanatica di Vladimir Putin e questa invasione lo dimostra. Fra le idee più invise, ci sono quelle relative alla libertà di genere e alla promozione dei movimenti Lgbt. Infatti c’è anche una legge che impedisce la libertà di scelta riguardo l’orientamento sessuale».  
Come ci può aiutare a non identificare l’invasione russa con la cultura russa?
«Purtroppo le idee di Putin piacciono a tanta gente in Russia. Il motivo è che non è solo il presidente a rimpiangere l’Unione Sovietica, ma anche molte altre persone. Il Paese infatti non è giovanissimo e ci sono ancora tantissimi ex cittadini dell’Urss di una certa età, che non hanno mai avuto libertà di scelta. Loro non sapevano cosa fosse la libertà e tuttora non la vogliono. Non vanno neanche a chiedere il passaporto, tanto che in Russia solo una persona su cinque ce l’ha. Una buona parte della società russa vede di buon occhio l’invasione, perché dovrebbe permettere di riacquistare una parte dell’Urss, senza comprendere che i contraccolpi economici legati alla guerra saranno ingenti».
Cosa direbbe agli italiani che giustificano l’operato di Putin come risposta a una presunta minaccia lungo i confini?
«L’esercito russo ha invaso la Crimea nel 2014 e ha organizzato un referendum in uno stato sovrano libero che non aveva provocato la Russia in nessun modo. Ma come si è permesso di farlo? Dopo l’esito di un referendum che ha sempre ritenuto illegittimo, l’Ucraina si è rivolta alla Nato, che ha intensificato la presenza di armi e truppe sul confine nord-occidentale».
Perché la Russia non ha proseguito la via della Glasnost e della Perestrojka di Gorbaciov?
«Glasnost si traduce come parlare ad alta voce; infatti nell’Unione Sovietica non si parlava apertamente, poi, con la caduta del muro di Berlino e dell’Urss, si è incominciato a discutere dei problemi che affliggevano la Russia. Perestrojka si traduce con costruzione della vita e indica la volontà di cambiamento. La via promossa da Gorbaciov non è stata più seguita perché vi erano i nostalgici dell’Urss. In più, anche se le persone hanno cominciato a conoscere la libertà, non c’era proprio la base politica e legislativa che potesse costituire il principio del cambiamento. Oltre a ciò, nel Paese mancavano le risorse, la gente era stanca, non si riusciva ad avere da mangiare per tutti, per cui si è iniziato a pensare che quella non fosse la strada migliore, perché dopo settant’anni di Unione Sovietica le persone non sapevano come gestire le proprie vite. Chi ha preso il potere non ha saputo gestire il processo di privatizzazione e le aziende sono finite nelle mani di ricchi oligarchi».
Ritiene che ci fosse da tempo un chiaro disegno che portasse alla guerra?
«Sì, è stata programmata. Si pensi ad esempio che, due anni fa, una persona molto vicina a Volodymyr Zelensky, Oleksiy Arestovich, ha rilasciato un’intervista in cui ha affermato che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina. Una radio indipendente, l’Eco di Mosca, sosteneva da tempo l’imminenza di un attacco. Io fino all’ultimo momento non lo avrei detto, non ci credevo, ma chi era vicino ai centri di potere sapeva che c’erano già le bare pronte per seppellire i morti, e anche i crematori mobili».
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