IL CASTORO | Gli aquilani: «A 13 anni dal sisma, ci sentiamo traditi dalla giustizia»

Romagna | 02 Gennaio 2023 Blog Settesere
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Simona Farneti
A 13 anni dal terremoto che ha colpito la città dell’Aquila, una sentenza riaccende la voce di chi, alle 3:32 del 6 aprile 2009, ha udito un boato squarciare il silenzio e si è visto privato di qualsiasi cosa.
Il 12 ottobre 2022, il Tribunale civile dell’Aquila emana una sentenza che attribuisce alle vittime del sisma un concorso di colpa; le 24 persone morte nel crollo di uno stabile sito in via Campo di Fossa hanno una corresponsabilità del 30%, in quanto hanno agito in modo imprudente, non uscendo di casa dopo la seconda scossa. La redazione de Il Castoro ha raccolto le testimonianze di sei nostri coetanei, che, a seguito della sentenza emessa, si sentono traditi non solo da chi aveva l’incarico di tutelarne la sicurezza durante l’emergenza, ma anche dalla giustizia.
A raccontarci la loro storia sono Riccardo de Bernardinis, Daniele de Meo, Sophia Chiacchia e Sara Bottino della 5ªA, indirizzo Informatico, dell’I.I.S. Amedeo d’Aosta e Alessia Carducci e Federico de Amicis, rispettivamente della 5ªC Scienze Umane e 4ªC Classico del Convitto Nazionale Domenico Cotugno. «Non ci sono parole per descrivere una sentenza del genere, ma sappiamo di vivere in una nazione dove l’ingiustizia è spesso la prassi» dichiara Riccardo in merito a quanto sancito dal Tribunale civile. «È straziante» aggiungono Alessia e Federico, che sottolineano, poi, come gli aquilani siano stati feriti due volte, dal momento che la Protezione civile non solo rassicurava la popolazione dicendo che si trattava di uno sciame sismico che non sarebbe sfociato in catastrofe, ma invitava le persone a non abbandonare le proprie abitazioni.
A sottolineare la negligenza dello Stato sono, inoltre, le parole di Sophia, che racconta che, pochissime ore dopo il sisma, in città erano già arrivati beni di prima necessità. «Tutti erano in allerta, tranne noi» evidenzia la ragazza. Ad avere vissuto il terremoto particolarmente da vicino è Sara, che ricorda: «I mobili si muovevano, gli oggetti cadevano, la gente gridava. La porta della mia stanza era bloccata, i miei genitori l’hanno aperta con la forza. Ci siamo rifugiati sotto il tavolo per proteggerci, non riuscivamo a muoverci».
Nel periodo immediatamente successivo al sisma, i ragazzi ci raccontano che, per ospitare i numerosi sfollati, sono state costruite tendopoli. In soli 9 mesi, poi, è stato realizzato il progetto C.a.s.e, 185 edifici che costituiscono ancora oggi, dopo 13 anni, la casa di chi non l’ha più. «Una serie di unità abitative comunemente note in città come le case di Berlusconi - precisa Daniele -, si pensava fossero solo a uso temporaneo, ma con il tempo si è giunti alla conclusione che si potessero utilizzare sul medio-lungo termine».
«Secondo l’Usra, l’ufficio speciale per la ricostruzione, lo Stato ha finora stanziato risorse per un valore che si aggira intorno ai 18 miliardi di euro -raccontano Alessia e Federico, redattori del giornale scolastico I Portici -, usati per la ricostruzione della città e per gli interventi nella fase di emergenza». Lo Stato ha inoltre provveduto alla costruzione dei M.u.s.p., moduli ad uso scolastico provvisorio, che ancora oggi ospitano studenti e professori, dal momento che la maggior parte delle scuole si trovava nel centro storico. «Fortunatamente, essendo molto solida - afferma Sara -, la mia scuola è rimasta in piedi».
Nel 2009, i ragazzi intervistati erano bambini e, nonostante di quegli anni non abbia molti ricordi, Riccardo racconta che ad essere rimaste impresse nella sua mente sono le persone che, nel periodo immediatamente successivo al terremoto, davano loro da mangiare, «cercavano di farci sorridere, sia pur per un attimo». I ragazzi, infatti hanno vissuto il terremoto in modo più passivo che attivo: «Avevo reso mia quella realtà di macerie e desolazione» racconta Daniele. Ad oggi, quella della città dell’Aquila è una ricostruzione a più velocità e il ragazzo sottolinea come, per far rivivere il centro storico, dovrebbero essere promosse iniziative in grado di coinvolgere i giovani, oltre a riaprire luoghi d’incontro. «Certe volte, passeggiando per i vicoli - continua Daniele - si ha la sensazione che il tempo si sia fermato». Sophia prevede, però, siano necessari un’altra decina d’anni prima che L’Aquila torni ad essere quella di prima. «Ad oggi senti i muscoli irrigidirsi appena percepisci qualcosa vibrare - raccontano Alessia e Federico -, ma abbiamo imparato cosa significhi conviverci. Desideriamo ricominciare, riprovarci, vogliamo essere resilienti, caparbi, in nome di tutto ciò che questa catastrofe ci ha tolto».
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