IL CASTORO | Geografia: andrebbe insegnata di più

Romagna | 21 Giugno 2023 Blog Settesere
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Annalisa Strada
Oggi la Geografia, in Italia, è una materia ancillare. Ma siamo convinti che questa disciplina debba avere, a scuola, un ruolo marginale? La redazione de Il Castoro ha discusso di questo ed altro con Andrea Zinzani, docente di Geografia e politiche dell’ambiente all’università di Bologna.
Può fare il punto sull’insegnamento della geografia oggi nelle scuole italiane di tutti i livelli?
«A differenza di altri Paesi europei, nell’ambito del sistema scolastico italiano la geografia spesso viene definita una disciplina “Cenerentola”, perché gioca un ruolo marginale rispetto ad altre. In Italia se ne dà un’infarinatura alla scuola primaria, con un insegnamento descrittivo dapprima del territorio italiano e poi europeo, per arrivare a un focus sui continenti. Generalmente, questa impostazione, che mette in evidenza la descrizione della superficie terrestre e l’ordinamento politico degli Stati, si replica anche alle scuole secondarie di primo grado, senza però entrare nel dettaglio delle grandi problematiche geografiche del presente. Per quanto riguarda le secondarie di secondo grado, troviamo la geografia nei bienni delle scuole professionali, dove le viene dato uno spazio di due ore alla settimana e dei tecnici economici e turistici. In questi ultimi la geografica riveste un ruolo più importante: è infatti presente per tutti e cinque gli anni. Nei licei invece è stata inserita la geostoria, ovvero l’unione dello studio di storia e di geografia, una disciplina che viene generalmente insegnata sacrificando il sapere geografico».
Noi adolescenti ci sentiamo spesso persi senza il navigatore. È colpa di un nostro atteggiamento di pigrizia o forse non ci hanno insegnato a leggere le mappe e a orientarci?
«Google Maps è entrato a far parte della nostra quotidianità ormai da una decina di anni, ma non per questo dobbiamo ricadere per forza in un’idea romantica della carta o dell’atlante, perché molto spesso utilizzare un’app ha una maggiore comodità e quindi non credo che il problema sia il mezzo, ma il saper utilizzare lo strumento cartografico, digitale o cartaceo che sia. Sono convinto che se, nelle ore di geografia delle scuole medie, fosse incentivato lo studio della cartografia (ad oggi solo un numero ristretto di docenti lo propone) lo studente otterrebbe una maggiore conoscenza dello spazio e una maggiore abilità negli spostamenti».
Gli studenti di oggi conoscono meglio o peggio la geografia rispetto alla generazione dei loro genitori?
«Facendo riferimento agli studenti delle superiori, l’insegnamento della geografia è fortunatamente cambiato nel corso degli ultimi anni. In passato era molto descrittivo e poco legato ai processi di trasformazione territoriale o ambientale. Negli ultimi dieci anni invece è iniziata una riflessione, in cui l’Aiig (associazione italiana insegnanti di geografia) ha rivestito un ruolo fondamentale. E oggi la geografia, anche nelle scuole, si concentra maggiormente sullo studio di problematiche importanti, legate ai rapporti tra società e altri ambiti, come quello dell’ambiente, delle migrazioni o dell’urbanizzazione. In sostanza è cambiato l’approccio alla materia e, a mio avviso, la direzione che stiamo seguendo è quella giusta».
La riforma dell’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini nell’anno scolastico 2010/11 ha accorpato, al biennio dei licei, geografia e storia, creando la materia geostoria (3 ore settimanali). Tale riforma ha penalizzato l’insegnamento della geografia?
«Penso che l’accorpamento sia stato un progetto in cui la geografia ha perso l’esiguo potere che aveva. Probabilmente, questo è anche legato al fatto che i professori di geostoria spesso si sono formati come docenti di storia, filosofia o lettere e hanno sostenuto solo un paio di esami di geografia nel loro percorso universitario, di conseguenza privilegiano l’insegnamento della storia. Chi si laurea oggi in geografia insegna nei professionali, non nei licei. L’idea della geostoria sarebbe da ripensare. Chiaramente il cambiamento di un programma ministeriale non è un processo semplice ma, per par condicio, una programmazione migliore dovrebbe prevedere due ore di storia e due di geografia con due docenti differenti».
La geografia insegnata al biennio dei licei è sostanzialmente geografia politica. Ritiene che sia la maniera corretta di declinare l’insegnamento della materia?
«Secondo me sì. Una delle grandi peculiarità della geografia contemporanea è proprio quella di saper mettere assieme diverse scale d’analisi. I processi di trasformazione ambientale su scala locale non si possono considerare distaccati da quelli su scala internazionale. Ad esempio, Venezia è un’area fragile in relazione all’aumento dei livelli dei mari, pertanto il tema dell’accesso delle grandi navi nella laguna, per via dell’intersezione di interessi del mondo imprenditoriale internazionale (turismo, grandi crociere, etc.), va considerato come un fenomeno globale».
Il 14 aprile scorso si è tenuta la Notte europea della geografia. Pensa che iniziative come questa possano condurre a un rinnovato interesse sulla disciplina?
«Ritengo che sia una delle iniziative più importanti tra quelle promosse dall’associazione europea di studi geografici negli ultimi anni. Si è sviluppata in particolare negli ultimi sei, sette anni con l’obiettivo di divulgare l’importanza della geografia nello studio di grandi problematiche del presente. Qui all’università di Bologna, organizziamo la notte della geografia dal 2018 e ogni anno discutiamo su quali possano essere i temi di maggiore interesse. Credo che l’evento si rafforzerà in futuro, perché cerchiamo di condividere con la cittadinanza una riflessione sull’ambiente urbano e le sfide politico-economiche legate alla sua preservazione».
Come dovrebbe essere insegnata la geografia in futuro?
«Posso dire due cose in merito a una possibile via per rafforzare il ruolo della geografia. Nel 2022, il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi ha istituito una commissione per la conoscenza e lo studio della geografia nelle scuole, il cui obiettivo è analizzare i programmi didattici della materia, per incrementarne il potenziale. Il secondo volano, fondamentale per il miglioramento, è l’Aiig che ha l’obiettivo di rafforzare la formazione degli insegnanti, anche attraverso l’organizzazione di seminari, la divulgazione di ricerche accademiche, la condivisione di materiale didattico».


 
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