IL CASTORO | Corrado Augias commenta il caso Patrick Zaki

Romagna | 23 Marzo 2021 Blog Settesere
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Bianca Sassoli De Bianchi

Minaccia alla sicurezza nazionale, diffusione di notizie false e propaganda di terrorismo: sono questi alcuni dei reati contenuti nei mandati di cattura di Patrick Zaki, detenuto nel carcere di Tora, a sud del Cairo, dal 7 febbraio dello scorso anno.

Solo a luglio, dopo molti rinvii, si sono tenute le prime due udienze del processo e l’indagato ha potuto rivedere i suoi avvocati per la prima volta dal 7 marzo. Lo studente rischia fino a 25 anni per la diffusione di 10 post da un account di Facebook, ritenuto falso dalla difesa, ma che la magistratura egiziana definisce fonte di «istigazione a crimini terroristici» e «incitamento alla protesta».

L’ultima udienza, tenutasi il 1° febbraio 2021, ha ulteriormente rinviato di 45 giorni la reclusione, mentre, come ha dichiarato la sua legale Hoda Nasrallah, ci si aspettava una scarcerazione.

Il consiglio comunale di Bologna, città nella quale studiava Patrick Zaki prima di essere arrestato, gli ha approvato all’unanimità il conferimento della cittadinanza onoraria, come hanno fatto anche più di settanta altri comuni italiani.

A dimostrazione della situazione estrema in cui si trova l’Egitto va ricordato anche il caso di Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano che nel 2016, al Cairo, fu torturato per giorni prima di essere ammazzato. In questi anni i suoi genitori non hanno mai smesso di chiedere giustizia al governo egiziano, pur non volendo ricorrere alle immagini del figlio dopo le torture subite per arrivare alla verità.

Lo scorso dicembre Emmanuel Macron, presidente della Repubblica Francese, ha assegnato ad Al Sisi il riconoscimento della legion d’onore, nonostante fosse stato dichiarato che durante l’incontro dei due capi di stato si sarebbero discussi temi riguardanti la violazione dei diritti umani in Egitto. La notizia del riconoscimento non è stata resa pubblica dall’entourage dell’Eliseo, mentre è stata trasmessa sulla tv egiziana. Il giornalista Yann Barthes durante la trasmissione «Le quotidiane», ha affermato: «Per la prima volta siamo dovuti andare sul sito internet di un regime autoritario per sapere quello che succede all’Eliseo».

Il giornalista e scrittore Corrado Augias, indignato davanti a questo gesto, il 14 dicembre ha deciso di restituire personalmente all’ambasciata francese la legion d’onore. La redazione del Castoro lo ha contattato per una sua riflessione sul tema.

Innanzitutto vorrei chiederle quale sentimento ha provato nel restituire la legion d’onore?

«Le dico la verità, è stato un gesto che ho fatto senza riflettere troppo, istintivo e quasi irrazionale, di profonda indignazione e anche un po’ di vergogna, perché aver dato la stessa decorazione a un presidente così chiaramente tirannico, che ignora tutti i diritti umani, come Al Sisi non può essere giustificato neanche dal più lucroso degli affari. Mi sono consigliato col direttore di Repubblica il quale mi ha detto di pensarci bene perché è un gesto grave, però io non ci ho voluto pensare e gli ho detto che lo avrei fatto comunque. Quel giorno era domenica, io il lunedì mattina sono andato a farlo».

Quali effetti spera che scaturiscano da questo suo gesto?

«Francamente non mi sono posto la questione. Non è come lanciare un manifesto, raccogliere le firme e sperare che le adesioni siano numerose, si tratta di un gesto di responsabilità individuale e l’ho considerato così. Poi altre cinque o sei persone hanno fatto lo stesso e sono stato contento, però anche se fossi rimasto da solo, ripeto, si tratta di responsabilità individuale».

Secondo lei che cosa dovrebbe rappresentare, nel suo significato più puro, la legion d’onore?

«La legion d’onore ha una storia gloriosa perché la istituì Napoleone quando era primo console ed era un riconoscimento in primo luogo militare. Quando io la ottenni venne a Roma un generale dell’esercito, cioè il gran cancelliere della legione d’onore. Questo evidenzia la volontà di Napoleone di premiare i meriti militari, infatti il nastrino è rosso, il colore del sangue. Naturalmente dopo quelli militari ci sono anche quelli civili o sociali; nel corso degli anni in genere è andata a persone degnissime di riceverla, con qualche eccezione. Macron ha allungato la lista delle eccezioni».

Quindi per lei Al Sisi è un presidente o un dittatore o più semplicemente un criminale?

«No, non si può mai dire che un capo di stato è un criminale. Un capo di stato può fare degli atti per favorire o tollerare o stimolare, a seconda dei casi, degli atti criminosi, lo hanno fatto tutti: Mussolini stimolò l’uccisione di Giacomo Matteotti, Putin stimola la soppressione dei suoi avversari, lo stesso fa Erdogan in Turchia, anche in paesi più civilizzati non è impossibile che cose del genere avvengano, anche se sono fatte con maggiore abilità e meno sfacciataggine dunque rimangono un po’ più segrete. Tuttavia le operazioni segrete di eliminazione degli avversari sono state fatte da chiunque, poi ci sono dei capi di stato che esagerano e allora la componente delittuosa dell’esercizio del potere diventa più grande. Nell’esercizio del potere, se andiamo a leggere Machiavelli e quello che fece il duca Valentino, figlio di Cesare Borgia, è previsto il crimine. Viene da qui il fatto che Machiavelli abbia stabilito una volta per tutte l’autonomia morale della politica. Questo non significa che il politico si mette in tasca i soldi del pubblico erario, ma che in nome dell’interesse generale può fare delle cose che a lei e a me, cittadini comuni, non sono consentite. Poi ovviamente ci sono politici che in nome dell’interesse generale fanno commettere dei crimini e che esagerano, Al Sisi appartiene a questa seconda categoria».

Vede nelle motivazioni dell’arresto di Patrick Zaky delle analogie con il caso Regeni?

«Speriamo di no, perché il povero Zaky è vivo anche se in condizioni intollerabili mentre Regeni è stato brutalmente assassinato. L’analogia risiede nella mancanza di qualunque giustificazione procedurale e giudiziaria per un arresto e per una detenzione chiaramente illegittimi, in quanto una stessa procedura sarebbe intollerabile in un qualsiasi paese di civiltà appena superiore all’Egitto. La detenzione è basata sul nulla e questo la rende profondamente illegittima».

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