I gestori dei bar di Ravenna e Faenza: "Giovani e assembramenti, difficile fare i poliziotti"

Romagna | 19 Febbraio 2021 Cronaca
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Silvia Manzani
«Lavorare in queste condizioni è stressante, a volte addirittura angosciante. Siamo rivestiti di un ruolo, quello di sorveglianti, che non è nostro, semplicemente perché facciamo un altro mestiere». Giorgia Gordini e Matteo Siboni, titolari di «Fricandò Ravenna Caffè Cucina» a Ravenna, oltre a subire le difficoltà che il settore del commercio e della ristorazione sta attraversando ormai da un anno, vivono sulla propria pelle il problema di dover gestire, durante le settimane di «zona gialla», la clientela e il suo rapporto con le regole anti-Covid: «Il timore di essere sanzionati è sempre molto alto, d’altro canto non possiamo passare i pomeriggi a controllare chi non ha la mascherina. Noi siamo scrupolosi, teniamo molto a essere ligi. Ma non abbiamo occhi e potere su tutto e tutti. Però le persone che passano e che scorgono situazioni limite, le segnalazioni alle forze dell’ordine le fanno eccome». Oltre al tema assembramenti giovanili, c’è quello degli orari: «Dopo le 18, noi non possiamo vendere un caffè o un pacchetto di caramelle, perché rientrano nella licenza di bar. Però possiamo fare l’asporto, essendo ristorante. O vendere un pacchetto di sigarette o un pacco di biscotti, essendo anche tabaccheria e bottega. La gente spesso non lo sa e capita di essere colpevolizzati ingiustamente. Così come capita che ci venga chiesto un amaro alle 18,30. Insomma, siamo stremati da questo oscillare: da un lato i controlli, il rischio delle multe, le telefonate dei passanti alla polizia e dall’altro le richieste della clientela, davanti alle quali, in caso di irregolarità, dobbiamo dire no». 

«FARSI ODIARE»
Equilibrio non facile anche per Morena Andalò, titolare del «Clan Destino» di Faenza, che fin dall’inizio delle regole anti-Covid nei locali si è eretta a sergente: «Sono arrivata a farmi quasi odiare dalla clientela perché esigevo ed esigo il rispetto delle restrizioni. C’è chi ti guarda male e pensa che stai rompendo le scatole ma purtroppo per lavorare dentro le norme e non rischiare le multe ho scelto di essere molto esigente. Atteggiamento che non ha sempre pagato, visto che prima di Natale ci hanno fatto chiudere una settimana perché qualche cliente si era trattenuto nei tavoli all’esterno oltre le 18. Da allora, ho scelto di anticipare alle 17,40 la fine del servizio al tavolo mentre già dall’estate ho scelto di abolire l’asporto di alcol». Complesso, per la proprietaria, dover dire tanti no alla clientela che faticosamente si è cercato di conquistare negli anni: «Fortunatamente abbiamo molto spazio all’esterno, mantenendo le distanze abbiamo comunque 180 posti a sedere. Non so davvero come faccia chi ha locali piccoli. Per il resto, siamo in continuo adattamento. il Covid ha evidenziato la necessità di essere flessibili e reinventarsi davanti alle situazioni. L’estate scorsa mi è toccato cazziare tante volte i ragazzi che si abbracciavano liberamente. Sono stata antipatica? Sicuramente. Ma poi ho ricevuto i complimenti delle forze dell’ordine che passavano a controllarci».

«LE MANI NEI CAPELLI»
«C’è da mettersi le mani nei capelli, i ragazzi arrivano tutti tra le 16 e le 18, in quelle due ore oltre a essere tanti bevono quello che berrebbero alle 11 di sera. E intervenire, invitandoli a non abbracciarsi, sbaciucchiarsi e ammassarsi per scattarsi selfie, è impossibile». Si sfoga così Dino Dalfiume, titolare del Costa Cafè di Ravenna, che definisce i pomeriggi al bar dei giovani, in genere tra i 18 e i 22 anni, come delle continue feste di Capodanno: «Magari prenotano per sei per un compleanno, noi allestiamo due tavoli da tre per mantenere il distanziamento ma loro finiscono poi per unirsi, specie dopo il secondo giro di Spritz. La fatica è bestiale, eppure anche nel fine settimana quello è l’orario in cui dobbiamo incassare quello che non abbiamo incassato dal lunedì al venerdì». La guardia è alta anche per non prendere multe: «Noi ne abbiamo già presa una e siamo rimasti chiusi qualche giorno. Eravamo in zona arancione, cinque giovani hanno preso un drink da asporto ma invece che portarlo via si sono fermati sulla pedana. Dalla segnalazione alla sanzione, è stata questione di un attimo. Io capisco la necessità di imporre l’ordine ma davvero in quel caso ci ho visto la volontà di uscire sui giornali con titoli eclatanti. Non è per nulla semplice lavorare così, con due ore al giorno per guadagnare qualcosa, facendo i poliziotti. Sarebbe quasi meglio non dover chiudere alle 18: i clienti si “spalmerebbero” su diverse fasce orarie, non occupando tutti i tavoli e non facendoci rischiare ogni volta una multa».

«REGOLE DA RICORDARE»
Va un po’ meglio al Fresco, a pochi passi da piazza Costa, dove il gestore Massimo Gorini, avendo una clientela più adulta, ha meno a che fare con il mancato rispetto delle regole: «Ciò nonostante, ad alcuni clienti tocca ricordare continuamente di sedersi, di indossare la mascherina, di non assembrarsi. Per fortuna, le reazioni sono sempre positive».

«VEDO BUON SENSO»
Anche Davide Bulzaga del «Mens Sana» di Faenza si lamenta meno: «Se vediamo situazioni estreme lo facciamo presente, certo. Ma vedo che c’è abbastanza buon senso, sia da parte dei clienti che di chi passa quotidianamente a controllare. Questa è una città dove le regole, in genere, si rispettano. E quindi vedo anche tolleranza. In ogni caso non siamo noi a dover ricordare mascherine e compagnia, il nostro mestiere è un altro».
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