I finalisti del Premio Faenza al Mic
Sandro Bassi
Prima di spifferare i nomi dei vincitori, va detto che val la pena vedere, come fosse una mostra (e in effetti lo è), tutte le 70 opere selezionate per questo 62° Premio Faenza. Si tratta del prestigioso Concorso della Ceramica d’Arte Contemporanea, che nacque nel 1938 come manifestazione annuale e nazionale, che nel 1963 divenne internazionale (in sintonia con la natura stessa del Mic, come da disegno del suo fondatore Ballardini) e che nel 1989 divenne biennale: ecco perché in 85 anni si sono tenute «solo» 62 edizioni; al passaggio da annuale a biennale va poi aggiunta la dolorosa interruzione dal ’42 al ’46 per motivi bellici. La premiazione avverrà alle 17 di venerdì 30 giugno, con un dibattito con tutti gli artisti premiati; in pratica la cerimonia darà il via alla mostra stessa, visitabile dal 1° luglio fino al 29 ottobre.
Seconda cosa: la mostra si avvale di un allestimento spettacolare, da Claudia Casali, direttrice del Mic, e da Oscar Dominguez, tecnico allestitore ma anche noto artista. I due hanno evitato gerarchie e classifiche, nel senso che i vincitori (anzi, tutti i premiati, 10 più 4 menzioni d’onore) ve li dovete trovare da voi, cercandoli nel percorso della mostra allestita secondo caratteri tematici e tipologici e non gerarchici, appunto.
I 70 «finalisti» hanno presentato opere spesso ispirate a temi ambientali «epocali», di riflessione o di critica: le motivazioni, scritte dagli autori stessi, sono riportate in ogni cartellino. La Giuria era composta da Claudia Casali, dalla presidente del Museum of Ceramic Art di New York, dal direttore della Royal Academy of Art in The Hague e dal curatore del Momak di Kyoto.
Veniamo finalmente agli esiti: vincitore nella categoria sopra i 35 anni è risultato il belga Yves Malfiet con Paradiso eclettico di terra, installazione che «sfrutta la policromia e un’assoluta libertà - si legge nelle note dell’artista -, superando ogni schema tecnologico: si tratta di opere che somigliano a pezzi geologici di terra, sui quali è apparso l’essere umano che a sua volta ha costruito, fondato religioni, socializzato e creato il suo paradiso eclettico…». La Giuria spiega che «l’opera indaga i resti della nostra società attraverso la fusione e l’apparente collasso degli oggetti, racchiusi in scatole in cui tutto è accatastato, come un bric-à-brac di rifiuti».
Per la categoria sotto i 35 anni ha vinto il cinese Wei Bao con Courtyard Twilight Series IV, delicato assemblaggio di porcellana, legno vecchio e foglia d’oro. L’artista ha realizzato tre dischi concentrici che fanno riferimento a un’architettura tradizionale della Cina del Sud che sta scomparendo sotto la pressante urbanizzazione. La Giuria rilancia il messaggio scrivendo che «il tema è quanto mai attuale: viviamo tutti i giorni la perdita dell’armonia primordiale basata sugli equilibri naturali, anche nel costruire».
Seguono altri dodici riconoscimenti, fra premi e menzioni. Lo spazio tiranno ci impedisce anche solo di elencarli e si perdonerà se, in maniera campanilistica fin che si vuole (ma tant’è…), citeremo solo i due faentini, cioè Marco Samorè, cui è andato il Premio Rotary per Zopranol 30, che unisce decalcomanie a pigmenti ceramici con carte plastiche, ottone, gesso, smalti spray acrilici, pongo e stoffa, e Victor Fotso Nyie (camerunense ma faentino di residenza, lavoro e formazione; ha imparato dal «nostro» Walter Pasqui), cui è andato il Premio Ignazi con Rebirth, una scultura con una testa di un giovane africano che spunta da un basamento in mattoni su cui, come simbolo di preziosa rinascita, si scorge una ferita coperta d’oro.