I faentini Menoventi e la Bottega dello Sguardo di Bagnacavallo sono candidati ai premi Ubu

Romagna | 10 Dicembre 2023 Cultura
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Federico Savini
Due candidati, di generazioni molto diverse ed entrambi per la prima volta. Parliamo dei Menoventi di Faenza e della Bottega dello Sguardo di Bagnacavallo, che figurano tra i finalisti dei premi Ubu di quest’anno, la cui proclamazione è prevista per lunedì 18 all’Arena del Sole di Bologna. Il premio che riconosce l’eccellenza del teatro contemporaneo italiano ha toccato spesso il nostro territorio, ricco com’è di esperienze importanti e radicate nella scena contemporanea italiana degli ultimi decenni, tanto che il nome della «Romagna Felix» risuona ancora frra gli appassionati.
Anche per questo, e tra l’altro dopo la vittoria del premio andato l’anno scorso all’attore ravennate Marco Cavalcoli, è significativo che per la prima volta la nomination sia toccata in sorte ai Menoventi, compagnia faentina guidata da Consuelo Battiston e Gianni Farina per il loro adattamento di Entertainment di Ivan Vyrypaev (dove tra l’altro Francesco Pennacchia è candidato fra gli attori) nella categoria «Migliore nuovo testo straniero o scrittura drammaturgica», mentre tra i «Progetti speciali» figura la Bottega dello Sguardo di Bagnacavallo, non una compagnia teatrale ma un grande archivio, luogo di incontro, corsi e stimoli culturali la cui peculiarità viene oggi riconosciuta a livello nazionale.

MENOVENTI
«Quelle per Entertainment e quella per Francesco Pennacchia sono le prime due vere nomination da finalisti al premio Ubu - racconta Gianni Farina dei Menoventi -, in passato avevamo ricevuto voti per il nostro lavoro su Mayakovsky, ma erano andati un po’ “sparsi”, su diverse categorie, mentre quest’anno si sono concentrati sullo spettacolo e sull’attore».
A proposito di Mayakovsky, che vi ha impegnato per anni, anche Ivan Vyrypaev, autore contemporaneo di Entertainment, è russo. Hanno altro in comune?
«Non direi, anche se in effetti è una coincidenza singolare, tanto più che sono tempi strani per avere il “mood russo” che abbiamo noi... L’idea di rappresentare questo testo inedito in Italia non è stata propriamente nostra, ma di altre due persone. Uno è Teodoro Bonci del Bene, che oltre che attore e regista è anche traduttore dal russo, e siccome ama questo testo lo ha tradotto per il piacere di farlo, sottoponendolo a Tamara Balducci, un’attrice riminese che secondo lui era perfetta per il ruolo della protagonista. Tamara ci conosce bene ed è stata lei a proporcelo, anche perché ha notato che, specialmente il finale, sembra scritto dai Menoventi e questo è un’affinità con Vyrypaev che ci ha conquistato. Più difficile è stato trovare il protagonista. A pensare a Francesco Pennacchia è stata Consuelo Battiston e visto com’è andata a finire devo dire che c’ha visto giusto».
Lo spettacolo punta i riflettori sui due spettatori di un teatro e ha la caratteristica, piuttosto originale, di invertire palco e platea, nel senso che gli spettatori sono sul palco e gli attori seduti…
«Quella è un’idea nostra, che abbiamo sottoposto a Vyrypaev, rimasto colpito della scelta, anche perchè come ha notato pure lui in questo modo puoi accogliere in sala meno pubblico. A Ravenna, per esempio, abbiamo fatto tre repliche proprio per accogliere tutti, ma poco più di un anno fa Entertainment ha debutto a Faenza nel nostro festival Meme. Abbiamo qualche replica in programma e speriamo che anche l’Ubu sia di slancio per lo spettacolo».
A proposito di «allestibilità» e di premi Ubu, quale pensi che sia il problema maggiore del teatro contemporaneo italiano oggi?
«Di cose migliorabili ce ne sono tante ma la peggiore viene dalla riforma ministeriale del 2014, che ha finito per far circolare meno tutte le compagnie, non solo le piccole. Con quella riforma si scelse di incentivare i grandi teatri a produrre molto, dando punteggi alti proprio alla produzione».
Che detta così sembra una cosa bella. Qual è il problema?
«Che in questo modo nascono molti spettacoli, è vero, però poi non girano! Da un punto di vista della sostenibilità economica c’è poco da fare: il teatro vive e ha sempre vissuto di tournée, ma se si sta tutto il tempo a produrre e ci sono troppi spettacoli, beh, poi girano poco. In questi giorni lavoro a uno spettacolo nuovissimo, al debutto il 9 dicembre a Pieve di Cento e Castel Maggiore, che si chiama Volevo risarcirvi ed è dedicato al tema della memoria. Ma solo lo scorso 15 giugno ha debuttato a Ravenna Odradek, uno spettacolo che credo per noi rappresenti una vetta. E tutto questo a pochi mesi da Entertainment!».

LA BOTTEGA DELLO SGUARDO
Una biblioteca privata che diventa pubblica, un luogo di formazione, riflessione e tanto altro. Non poteva che stare fra i «Progetti speciali» del premio Ubu la Bottega dello Sguardo, che Renata Molinari ha aperto nel 2016 in via Farini 23 a Bagnacavallo, raccogliendo il lavoro di una vita in termini di documentazione bibliografica dell’universo teatrale degli ultimi decenni. Nata a Villanova di Bagnacavallo, Renata Molinari si è formata a Milano, dove ha studiato storia del teatro alla Cattolica, entrando poi in contatto nei primi anni ‘70 con l’Odin Teatret di Eugenio Barba in Danimarca. Pioniera dell’attività del ‘dramaturg’ e della sua teorizzazione ha seguito da vicino il percorso artistico di Jerzy Grotowski e Thierry Salmon, lavorando a stretto contatto anche con Franco Quadri.
Profonda conoscitrice del teatro e archivista delle pubblicazioni sulla materia, con la Bottega dello Sguardo ha aperto al pubblico la sua biblioteca, promuovendo corsi, workshop, pubblicazioni e iniziative culturali di vario genere, peraltro con un’invidiabile continuità e profondità di contenuti. Un’attività che oggi riconosce anche il premio Ubu. «Essere tra i finalisti è già un grande riconoscimento - conferma Renata Molinari -. La nostra si potrebbe definire “un’attività di ricerca sul teatro”, più che una realtà teatrale in senso classico. Il rapporto fra il teatro, gli studiosi e il territorio in cui operiamo è il fulcro della Bottega dello Sguardo, siamo una biblioteca pubblica a tutti gli effetti, nella rete regionale, e organizziamo una quindicina di appuntamenti all’anno»
Pensa che il carattere storiografico della Bottega del Teatro abbia a che fare con questa candidatura? In fondo documentare il teatro è sempre stata una cosa complessa, ma pure necessaria…
«Nel 2019 dedicammo un convegno agli “Archivi dell’effimero”, quindi è un tema che ci è caro e del quale sicuramente i giurati dell’Ubu comprendono l’importanza. Io credo che in generale, oggi, si avverta nella società un grande bisogno di “trasmissione”, soprattutto del sapere. Che poi questo si incarni nel corpo di un attore, nella teatrografia di una compagnia o in una biblioteca non cambia la sostanza di fondo. Da pochi mesi ho pubblicato Tracce e semi, un libro che parte dalla mia attività, dando conto anche di quella della Bottega. Rifletto sul fatto che non tutti vogliono fattivamente fare teatro, ma conoscerlo aiuta a interpretare la realtà e le forme della rappresentazione. Esperienze come questa, che evolvono negli anni, superano la cultura dell’evento in cui viviamo immersi, e aprono alla possibilità di relazione tra le diverse generazioni e gli ambiti artistici. Non sto parlando di multimedialità, ma della cognizione dei principi della rappresentazione comuni tra arti visive, teatro e musica».
Cosa l’ha spinta a realizzare un progetto del genere in provincia?
«Qualche anno fa ho fatto un bilancio professionale ed esistenziale e mi sono detta che tutti i libri raccolti in questi anni dovevano tornare lì dove sono partita. Sento un profondo legame con questo territorio, dove ci sono alberi che erano già grandi quando ero bambina. La difficoltà maggiore è stata trasformare in pubblica la mia biblioteca personale. Tecnicamente resto la proprietaria, ma i libri non sono più miei, tanto più dovendo giustamente sottostare ai criteri catalogatori del sistema bibliotecario, al quale mi rivolgo spesso per cercare libri che non trovo più!».
Di quanti libri parliamo?
«Circa 7mila, tra libri, programmi di sala, riviste e altro materiale, una parte del quale è praticamente esclusivo».
I soci?
«Oggi sono una novantina, un po’ meno degli inizi quando anche l’effetto novità aveva il suo peso, ma un numero più che soddisfacente per una realtà così particolare. La lettura corale “Del Vajont e d’altre acque”, dello scorso ottobre, coinvolgeva 13 soci della Bottega. Ci siamo mantenuti attivi anche in pandemia, attraverso i nostri quaderni, accogliamo donazioni come una recente musicale di un cittadino di Bagnacavallo e in generale siamo aperti a tutti, al netto di alcuni corsi e laboratori che sono abbastanza specialistici. Molti vengono da fuori provincia».
Una candidatura all’Ubu è anche un’occasione per riflettere sullo stato del teatro contemporaneo. Qual è la situazione?
«Parto, per un fatto di sintesi, dall’esperienza della Bottega dello Sguardo, che ha da subito avuto un ottimo rapporto con Accademia Perduta e il Teatro delle Albe. Mi sento di dire che, quali che siano i problemi del teatro oggi, le soluzioni vanno cercate nel rinunciare alle divisioni. Ogni teatro che apre è un bene per tutto il movimento, che magari non ha più la contagiosità che aveva alcuni decenni fa. Del resto viviamo in uno scenario complesso, ma è fondamentale restare consapevoli del fatto che tutto si basa sul rapporto tra rappresentazione e spettatore, gli schieramenti non ci servono».
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