I dieci anni della Bottega Bertaccini, punto di riferimento per la cultura faentina

Romagna | 09 Novembre 2020 Cultura
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Federico Savini
«Credo che esista ancora un futuro per questa professione, a patto che la si sappia interpretare come mestiere di servizio, senza aspettare il cliente appoggiato allo spigolo della porta, ma andandolo a stanare. Se Amazon può offrire 300mila titoli senza neanche un libraio, nelle librerie indipendenti trovi meno assortimento ma sicuramente uno-due-tre librai che ti possono consigliare. E questo fa la differenza». Non è semplicemente una filosofia del lavoro questa di Renzo Bertaccini, ma suona più come un richiamo a quella necessaria «condivisione» - di esperienze, passioni, interessi, luoghi, progetti - che in questo lungo inverno pandemico (era inverno anche quando era estate) ci manca al punto di rischiare, per paradosso, di dimenticare com’era. Com’era costruire le cose insieme e com’era farlo dunque non già per se stessi (non soltanto, per lo meno) ma anche per gli altri, con lo sguardo rivolto anche a una comunità e a un territorio.
E se parliamo di «territorio» pochi luoghi come la Bottega Bertaccini, in quel di Faenza, hanno saputo raccontare e valorizzare quello che davvero è un patrimonio di tutti. Da dieci anni punto d’incontro per lettori, naturalmente, ma anche per studiosi del folklore, del dialetto e delle radici, e ancora scrittori, artisti, musicisti e, perché no, anche turisti e «forestieri» interessati a tutto quel che la Romagna e l’area del faentino hanno da raccontare. Della Bottega Bertaccini colpiscono non solo la quantità di eventi ed energie creative che le ruotano attorno, ma anche la capacità di restare sul mercato in un mondo così complesso e centrifugo, puntando i piedi proprio dentro le radici della nostra terra. E infatti, al netto dei dieci anni di vita della libreria, l’attività di Renzo Bertaccini data assai più indietro. «Il mio primo lavoro in questo ambito risale al novembre del 1978 - conferma Renzo Bertaccini -, quindi se vogliamo possiamo festeggiare anche 42 anni di carriera esatti. A proposito, dato il contesto pandemico, ovviamente non ci sarà nessuna festa propriamente intesa per i 10 anni della Bottega Bertaccini».
Partiamo però da molto prima dell’inizio, dal lavoro che cominciasti a fare appunto nel ’78…
«Di fronte all’Istituto d’Arte, in corso Baccarini, c’era un “botteghino” all’interno del quale occorreva trovare un sostituto all’agente della Einaudi, che si sarebbe assentato per diverso tempo, ed è proponendomi per quel ruolo che ho iniziato a muovermi nel campo editoriale. Quel lavoro durò se non sbaglio quattro anni ma poi cercai di mantenermi operativo nello stesso campo e mi misi a far progetti col mio amico Guido Leotta, con cui condividevo interessi e passioni».
Quando nacque Moby Dick?
«Nell’estate del 1986, nello stesso luogo in cui è ancora oggi, ma nel tempo la ampliammo rispetto alle origini. Nel gennaio del 1987 pubblicammo il primo volume dell’editore Moby Dick. Le due cose nacquero grossomodo insieme ma nel ’94 con Guido ci dividemmo le attività. Io mi occupai a tempo pieno della libreria, anche se la collaborazione su progetti e iniziative è sempre stata costante».
Nel 2010, nasce la Bottega Bertaccini. Come mai?
«Cedetti Moby Dick alle ragazze che tuttora la gestiscono e mi dedicai a un progetto nuovo. Ogni tanto bisogna cambiare nella vita e ho cercato di concretizzare in questa libreria gli stimoli che avevo, in particolare la passione per i libri vecchi e rari e l’idea di valorizzare sul serio la produzione editoriale del nostro territorio: poesia, tradizione, dialetto, gastronomia e arte, per la quale ancora ai tempi di Moby Dick avevo organizzato le prime mostre. Ricordo che il 2010 fu un annus horribilis per la cultura faentina: se ne andarono un artista come Mauro Andrea e studiosi come Roberto Bosi, Claudio Marabini e Anna Gentilini, a proposito della quale sto ancora aspettando che il Comune o la biblioteca si decidano a organizzare una giornata di studi in suo onore. Lo dico senza polemica ma con una punta di amarezza sì».
La scelta risoluta di puntare sull’editoria locale non è una cosa che si faccia per arricchirsi, ma dopo dieci anni evidentemente funziona, mi verrebbe da dire «in barba al modello Amazon». Quanto conta un pubblico che evidentemente esiste per queste cose e quanto conta come si lavora?
«E’ vero che negli ultimi anni è esploso il fenomeno delle vendite on-line, ma il nostro obbligo, se vogliamo sopravvivere, resta quello di essere presìdi culturali del territorio, memoria delle nostre città, luoghi di incontro, di scambio e promozione. Quando sono partito volevo offrire occasioni di conoscenza tra le persone. Per poterlo fare occorrono gli spazi (e io cerco di metterceli, insieme a qualche idea) ma ci vogliono anche le persone che li riempiano, sennò restano scatole vuote. Di Faenza mi entusiasma vedere quei gruppi di giovani che partecipano alla vita culturale della città. Penso ai giovani storici che hanno scritto sul volume Storia di Faenza del Ponte Vecchio, ma penso anche ai “Fototechi”, quei ragazzi che si sono attivati attorno alla Fototeca Manfrediana, con un messaggio molto semplice: conservazione del patrimonio fotografico storico ma anche investimento sul futuro con mostre, cataloghi, laboratori. Tutti questi giovani passano spesso in bottega e allora c’è da essere orgogliosi di vivere in una città come questa».
C’è sempre stata un’attitudine un po’ «comunitaria» dietro alla Bottega. L’impressione è che l’idea di diventare un punto di riferimento fosse chiara dal principio…
«E’ per lo meno quello che speravo, un obiettivo a cui puntavo con le idee piuttosto chiare, questo sì. Un luogo di incontro coi lettori e di confronto con gli autori naturalmente non solo valorizza il territorio, ma prosaicamente genera un ritorno economico in termini di libri venduti durante un appuntamento pubblico. I bilanci e la promozione culturale possono convivere. Ringrazio scrittori, studiosi, artisti e musicisti che sono passati da qui per presentare in pubblico le loro opere. E grazie alle migliaia di persone che almeno una volta hanno partecipato ai nostri incontri».
Si può quindi fare un bilancio di questi dieci anni?
«Permettimi di “dare i numeri”. In dieci anni ho ospitato 225 presentazioni di libri, 112 mostre (fra pittura, ceramica, scultura, fotografia), 33 concerti (all’interno e nel cortile) e poi corsi e convegni, spesso in collaborazione con associazioni e istituzioni. Il territorio va “zappato”, le persone rispondono a proposte di qualità, fatte con continuità. Molti clienti arrivano da fuori Faenza perché pensano di poter trovare competenza, passione e libri difficili da reperire altrove».
Soprese negative?
«Bah, anche se continuo a puntarci molto mi viene da pensare al mondo dell’arte. Nelle mie mostre ho sempre cercato di dare spazio a tutti, garantendo continuità e qualità. Faenza ha grandi tradizioni, dalla ceramica all’architettura, ma come spesso accade in città di questa dimensione, molti si credono il “commissario tecnico della nazionale”, c’è un po’ la sindrome da “primodonnismo”, se me la passi, in cui troppe volte prevale il pronome “io-io-io” e poche volte un bel “noi”, più umile ma anche più duraturo. I “molti”, comunque, non sono tutti per fortuna».
Come ti spieghi che non nascano, a Faenza, rassegne letterarie longeve al di fuori della tua bottega?
«Difficile dirlo, ma in effetti molte iniziative che si fanno in città hanno carattere estemporaneo. In Bassa Romagna un’esperienza come quella del Caffè Letterario di Lugo è maiuscola e l’idea di portare anche lo Scrittura Festival in quel territorio sembra attecchisca bene. Anni fa, quando ancora gestivo Moby Dick, insieme alle altre librerie faentine proponemmo una rassegna alla biblioteca, usando quegli spazi. Ecco, forse oggi proprio la Manfrediana potrebbe sovrintendere un programma di incontri letterari di valenza territoriale».
Come impatta l’emergenza Covid sul tuo lavoro?
«E’ chiaro che quello che è successo da febbraio-marzo in qua sta cambiando le nostre vite, accanto al carico di lutti e tragedie che ha provocato. In questi mesi ho dovuto annullare moltissime iniziative già programmate (incontri con l’autore, piccoli concerti, mostre d’arte che incidono anche sui miei introiti) e non si vede davvero quando potremo uscirne. Quello che raccomando a tutti è: manteniamo comportamenti corretti ma non rinchiudiamoci in casa».
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