I cent’anni del Socjale a Piangipane tra la nuova stagione e i ricordi di Tiziano Mazzoni e Christian Ravaglioli
Federico Savini
«A metà degli anni ’80 l’attività del teatro Socjale di Piangipane era agli sgoccioli; tempo qualche mese e avrebbe fatto la fine delle altre strutture analoghe che sorgevano in quasi tutti i paesi di Romagna. E sarà stato per la giovane età, che le cose te le fa vivere sempre con più urgenza, ma ci ritrovammo in un gruppo di ragazzi a dirci che i nostri nonni, che facevano i braccianti, negli anni ’20 si tolsero letteralmente il pane di bocca per avere un luogo in cui ritrovarsi, divertirsi e commuoversi. Non poteva finire così». E’ molto accorato il racconto di Tiziano Mazzoni su quella «scintilla» da cui trent’anni fa prese il via la ripartenza del teatro Socjale di Piangipane, struttura nata in realtà un secolo fa e sul cui doppio anniversario sono previsti eventi di caratura insolita per tutta la stagione, specie nel 2020.
A celebrare il secolo di vita sarà in gennaio Vincenzo Mollica, mai venuto prima ma in contatto con tutti gli artisti che hanno fatto la storia dei trent’anni che si contano dal 1987, perché per tre anni (dal 2004 al 2007) il teatro è stato chiuso per restauri, e oltre a lui sono già annunciati Mario Biondi e Ray Gelato, uno che ha legato il suo nome al locale. Il Socjale nacque su iniziativa della Cooperativa Braccianti e ancora oggi è di proprietà della Federazione delle Cooperative, gestito da un nutrito gruppo di volontari il cui presidente è Tiziano Mazzoni (TM), mentre da tre anni il direttore artistico è il musicista Christian Ravaglioli (CR), entrambi emozionati nel celebrare una storia che oggi sa anche di rilancio. «Nato nel 1920, il Socjale fu un luogo di ritrovo fino alla guerra - racconta Mazzoni -. Nel dopoguerra venne usato più che altro per il cinema e i veglioni mascherati, fino a una lenta decadenza e alla nostra idea di rilancio».
Con il jazz?
TM: «Sì, ci affiliammo all’Arci e facemmo del Socjale un circolo jazz».
CR: «Io ci sono cresciuto lì dentro, devo una parte fondamentale della mia formazione al Socjale. Fresu e Rava li ascoltai lì nel ’90 e li ho ricontattati quest’anno, cosa che ho fatto anche con Vinicio Capossela, che ricordo bene a suonare per 15 persone… E poi Ray Gelato, Antonello Salis, Franco D’Andrea…».
L’identità musicale del locale è comunque diventata più composita.
TM: «Sì, la qualità resta un punto fermo ma ci siamo aperti ad altri generi. Per quanto mi riguarda penso siano stati particolarmente memorabili i concerti di Alan Parsons, De Gregori, Ornella Vanoni, Gino Paoli, Elio e le Storie Tese».
CR: «Il Socjale ha sempre avuto un’identità e fatto suonare grandi musicisti, altrimenti Vincenzo Mollica non potrebbe adattare il suo spettacolo Prima che mi dimentico di tutto a quelli che hanno suonato qui. E’ un’epoca difficile per la musica, non c’è la stessa curiosità che sentivo vent’anni fa e credo che i social abbiano una responsabilità. Ma tutti teniamo al Socjale e io cerco, ad esempio, di puntare molto sull’ottima leva cantautorale di questi anni, vedi Giovanni Truppi che suonerà a Piangipane tra qualche mese».
Quanto contano i cappelletti nel mito del Socjale?
TM: «Sono indissolubili dal locale proprio nell’immaginario collettivo. Quando affittiamo la sala ce li chiedono quasi sempre».
CR: «I cappelletti sono la più tangibile “magia” dei volontari. E lo spirito volontaristico che anima tutta l’attività, anche quella diurna con la mia scuola di musica e le persone che lo affittano e frequentano, è il valore aggiunto del Socjale. La fama è cresciuta anche per questo e l’anno scorso sono stati 2mila soci».
Quelli attivi quanti sono?
TM: «Una settantina di persone lavorano a vario titolo fra cappelletti, sala, ingressi e allestimento. Da quest’anno ce ne sono 15 nuovi, un importante rinnovamento, tenendo conto che permangono anche tanti fondatori. Il trentennale è un grande risultato e puntiamo a mantenerci impegnati per i prossimi trent’anni, con una formula vincente».
Fu duro il periodo dei restauri?
CR: «Senz’altro quello stop ha un po’ pesato perché il mondo cambia velocemente e la chiusura taglia un po’ fuori dai giri. Per fortuna il Socjale ha particolarità architettoniche uniche e ha potuto contare su una fama consolidata».
TM: «Arrivare al restauro, finanziato grazie al sostegno delle Fondazioni Banca del Monte e Cassa di Risparmio, con un finanziamento pubblico e debiti che l’associazione e la Federazione delle Cooperative stanno ripagando, è stato relativamente facile. Un po’ perché come soci siamo perseveranti, dei veri rompiscatole! E un po’ perché avendolo mantenuto aperto abbiamo limitato il decadimento strutturale e trovato finanziatori, perché il locale funzionava e aveva un futuro».