Giovanni Fabbri: "Il merito della coppa del mondo di foto naturalistica è collettivo"

Romagna | 06 Settembre 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
«Ci sono volte in cui la foto che vorresti portarti a casa, alla fine, non la scatti. Ma la bellezza della natura ti regala emozioni che vanno oltre. E allora sei a posto così». Giovanni Fabbri, 70 anni, socio del Circolo fotografico ravennate e artigiano in pensione, fa parte della squadra italiana che ha vinto la coppa del mondo «Natura Fiap», una competizione biennale che quest’anno si è svolta in Russia. A selezionare le sue immagini e quelle di altri fotografi italiani è stata la Fiaf (Federazione italiana associazioni fotografiche), che alle foto di Fabbri ha assegnato punteggi tra i migliori: «Per me questo premio è una bellissima soddisfazione ma tengo a precisare che si tratta di una vittoria collettiva, non mia e basta. A tutta la squadra, insomma, va il merito di aver portato l’Italia al primo posto su circa trenta Paesi, sia per quanto riguarda la categoria delle fotografie digitali che per quanto riguarda le stampe». Nella prima sezione Fabbri si è fatto notare con lo scatto di un martin pescatore che esce dall’acqua con un pesce in bocca e con una pulcinella di mare con i pesci nel becco. La stampa, invece, rappresenta due poiane che si incontrano ad ali aperte e sembrano litigare: «Nel primo e nel terzo caso, le immagini sono state scattate nelle valli di Argenta. La pulcinella, invece, l’ho immortalata alle Farne Islands, al largo della costa nord-orientale dell’Inghilterra, a poca distanza dai confini della Scozia. È una zona adattissima alla fotografia naturalistica ma dove capita di essere di disturbo per gli uccelli. Mi è successo di essere preso di mira da una sterna, che mi è arrivata sul cappello e ha rischiato di rovinarmi la macchina fotografica. Ecco, non amo molto questo tipo di incursioni, mi fanno sentire in colpa. Preferisco scattare dove so di non minare equilibri, come capita per esempio nel nostro Parco del Delta del Po». Tra i soggetti preferiti da Fabbri, il gruccione e il martin pescatore, per i loro colori: «Amo molto anche lo svasso maggiore, che ho fotografato al Lago di Garda. In generale, mi piace molto lavorare nel periodo dell’amore e del corteggiamento, quando l’avifauna esprime comportamenti davvero incredibili: il maschio che porge l’insetto alla femmina, per esempio, è incantevole». Chiaramente, dietro una foto d’impatto ci sono ore di appostamenti, fatica, stanchezza e momenti di avvilimento: «Una volta, sempre nella zona di Argenta, mi sono posizionato alle sei di mattina in un capanno, sotto il livello della terra e tutto rannicchiato, perché sapevo che lì sarebbe venuto a fare il bagno lo sparviero. Alle 12, però, ancora nulla. Mi ero scoraggiato e stavo per andarmene quando l’ho sentito arrivare. Mi è partito il batticuore, penso di essere stato anche tremolante e impacciato con la Canon. Fatto sta che ho iniziato a scattare a raffica, catturando spruzzi e battiti di ali. Un momento bellissimo». Quando esce per fotografare, Fabbri preferisce la solitudine: «Non sono un gran chiacchierone e non amo troppo essere interrotto mentre sono all’opera. Una distrazione, poi, può costarti un scatto che magari sarebbe stato meraviglioso. Oltretutto, tra noi fotografi c’è una sana competizione per cui quando scopri un luogo dove succedono cose interessanti, tendi a tenerlo per te. Un po’ come per i cercatori di funghi. Chiaro, sono segreti di Pulcinella. Tra social e siti, è facile che poco dopo si scopra dove una certa immagine è stata scattata. Ma c’è sempre un po’ di segretezza, all’inizio». Tra gli estimatori di Fabbri, in prima linea, ci sono la moglie Gabriella e il figlio Gianluca: «Mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato, a loro devo senza dubbio dire grazie. Ho anche un’amica, Lidia, che ogni volta pubblica su Facebook i miei scatti. Tutto questo fa piacere, perché la passione nasce da dentro e mi piacerebbe che trapelasse dalle mie foto. Vorrei, insomma, che chi le osserva potesse notare come certi dettagli della natura possano riempire il cuore». Secondo Fabbri la tecnica è importante ma lo è, senz’altro di più, l’esperienza dello sguardo: «Spesso si scatta con il telecomando, mentre la macchina è sul cavalletto, perché bisogna stare attenti allo spostamento dell’uccello, che sai che andrà proprio nel punto verso cui è rivolto l’obiettivo. Altre volte, invece, si è più vicini alla macchina perché bisogna seguire l’uccello e magari succede che sei quasi a tiro per immortalarlo e scappa via». All’inizio del 2021, Covid permettendo, il fotografo ravennate dovrebbe partire per un viaggio in Kenya: «Andrò alla ricerca di leopardi, leoni, giraffe ed elefanti. Ci ho già provato, in passato, in Tanzania e Sudafrica ma non ho portato a casa grandi cose. La prima volta ero in veste di turista, con una macchina analogica in prestito. La seconda avevo strumenti migliori ma ancora poca esperienza». Per tutto il lavoro di questi anni, in ogni caso, Fabbri ha accumulato 120 premi e circa 800 ammissioni: «Ho anche due onorificenze della Fiaf, mentre a breve farò domanda per la terza. Sono cinquant’anni che amo fotografare ma sono dieci anni che è scoppiato l’amore per la fotografia naturalistica. Grazie a qualche viaggio e qualche workshop, mi sono innamorato dell’avifauna attraverso l’obiettivo. E da allora non mi sono più fermato».
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