Giordano Sangiorgi sul sistema musica al tempo del virus, fra tutele e ipotesi di riconversione

Romagna | 12 Maggio 2020 Cultura
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«Il sistema musicale, più di altri, è globalizzato e vede in campo realtà multinazionali enormi. E’ per questo che sostenere la musica indipendente, con iniezioni di liquidità entro giugno, significa sic et simpliciter sostenere il futuro del Made in Italy culturale». Guarda molto in alto ma bada altrettanto al sodo Giordano Sangiorgi, patron faentino del Mei investito come tanti dallo tsunami economico del Coronavirus, in quanto titolare di un’azienda che opera in un settore delicato come quello musicale, e anche in qualità di osservatore ed esperto delle tematiche sindacali del mondo musicale nel senso più vasto.

«Volendo fare una prima conta dei danni – attacca Sangiorgi – ci rifacciamo alle stime di Assomusica, che parlano di una cifra che si aggira sui 600 milioni di euro da marzo a giugno».

Non parliamo solo dei concerti, giusto?

«No, certo. Nell’era dello streaming siamo abituati a pensare che gli introiti della musica arrivino solo dai live ma c’è ancora tanto altro e qui si considerano il mercato discografico, quello dei video e del merchandise, per un valore complessivo che raddoppia se consideriamo l’indotto, che va dal comparto tecnico a quello turistico. Un terzo di questa mole di introiti persi fa capo a piccole imprese. E non stiamo parlando dell’estate…».

Le aziende come si barcamenano n questa fase?

«Posso parlarti delle piccole imprese e cooperative, come del resto la mia, oltre che di partite iva, freelance, agenzie promozionali e così via. Si stime che una piccola azienda fin qui abbia perso 200mila euro, un lavoratore singolo sui 30mila.

C’è un sostegno pubblico?

«Sì, ma non per tutti. Ed è particolarmente ingiusto che chi guadagna meno, perché magari è all’inizio, sia esente dalla cassa integrazione. Questo per le partite iva, mentre le piccole imprese hanno come unico aiuto il prestito a tasso zero. Bisogna considerare nelle perdite anche le sponsorizzazioni di eventi che non si terranno e che magari avevano già sostenuto altri investimenti. In generale, nel settore musicale sono in pochi a recuperare qualcosa e quei pochi recuperano poco. In Germania, Francia e Stati Uniti lo Stato ha versato subito liquidità a questi lavoratori; 5mila euro mensili alle imprese e 1200 agli operatori della filiera».

Cosa servirebbe?

«Come Mei abbiamo chiesto diverse cose, come compensazioni per chi ha perso le prevendite e anche per chi ha organizzato eventi pubblici gratuiti annullati. Al momento i provvedimenti presi tutelano più che altro gli autori della musica ma il motore economico del settore è anche, e forse soprattutto, chi produce, promuove, gestisce i locali e organizza i festival. La mancanza di tutele per queste figure è un deficit parzialmente recuperato dal ministro Franceschini, impegnato a sostegno di festival e giovani autori. Noi chiediamo che non vengano finanziati solo i soliti noti, perché vorrebbe dire farlo a spese delle iniziative più fresche. Se poi non si tutelano anche gli editori, un terzo della discografie indipendente chiederà a giugno. E non saranno i big, i “pesci grossi”, ma quelle realtà che per anni hanno sostenuto gente come Diodato, permettendogli di arrivare a Sanremo e vincerlo. In queste richieste siamo sostenuti da molti assessori alla Cultura delle grandi città italiane. Se fosse passata la proposta di legge sulla musica in Italia, che portiamo avanti da anni sulla scorsa di simili normative che hanno altri Paesi europei, oggi buona parte degli operatori della musica sarebbero tutelati e la situazione sarebbe molto meno grave, ma abbiamo sempre subito la contrarietà delle grandi major».

La crisi sarà l’occasione per riflettere seriamente sul precariato di artisti e maestranze della musica?

«Da questa situazione possono avvantaggiarsi solo i big mondiali della musica, ma vale anche negli altri settori, visto che il mercato è globale. Il futuro del Made in Italy è nelle nostre mani, ma bisogna intervenire subito».

E’ percorribile l’idea di distribuire ad artisti e maestranze gli introiti delle prevendite dei concerti annullati?

«E’ una proposta di Enrico Ruggeri ed è utile come ogni proposta che vada nella direzione di costituire un fondo di solidarietà per il settore. Anche il Nuovo Imaie ne ha aperto uno per chi ha perso le date dal vivo».

Sarà un’estate senza musica?

«Credo che si debba tentare di fare concerti per step, cominciando dai piccoli. Chiaramente parliamo di atti poco più che simbolici, perché avrebbero numeri talmente piccoli da ridurre ogni marginalità, ma sarebbero segnali importanti di ripresa, utili ad aggregare un fronte comune di lavoratori della musica».

Per i concerti si ipotizzano i drive-in, ma non saprei dire con quale sostenibilità, e i live in streaming a pagamento, che però cozzeranno con l’abitudine alla gratuità del pubblico. Come la vedi?

«Sono due fra le proposte per il futuro di cui si parla di più. Trovo interessante quella dello streaming perché, nel cupo quadro generale, le dirette streaming hanno avuto un boom e il pubblico ci si è familiarizzato. Il contestuale calo dei numeri di Spotify e YouTube penso vada proprio attribuito al successo dello streaming fai-da-te sui social, che dimostra che se c’è l’offerta poi si trova anche il pubblico. E non parlo certo solo del fai-da-te, visto il successo delle iniziative di Andrea Bocelli. Proprio Bocelli potrebbe essere un traino internazionale per una piattaforma di streaming nazionale dedicata alla musica, magari appoggiata su RaiPlay e capace di contrastare il business delle piattaforme digitali multinazionali. Noi speriamo di fare il Mei dal 2 al 4 ottobre in via sperimentale, muovendoci tra le nuove norme e le piattaforme on-line. Stiamo studiando come».

C’è da aspettarsi un rincaro dei biglietti l’anno prossimo?

«Credo che difficilmente le aziende, di questo e altri settori, faranno gravare il costo della crisi sul pubblico, anche perché il Paese si impoverirà, purtroppo». (f.sav.)

 

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