Formula 1, lo storico inviato Rai Marco Franzelli: «Alboreto, Senna e il rombo dei motori: quanti ricordi indimenticabili a Imola»

Romagna | 18 Maggio 2024 Sport
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Luca Alberto Montanari
Un volto conosciuto e una voce inconfondibile, ma soprattutto una storia d’amore e di passione lunga ormai 40 anni, che lega Marco Franzelli alla Formula 1 e di conseguenza al Gran Premio di Imola. Entrato in Rai nell’ormai lontano 1980, lo storico giornalista romano comincia ad «assaggiare» le quattro ruote nel 1984, quando viene assegnato alla redazione Sport della testata e come inviato segue il Mondiale di Formula Uno e i principali avvenimenti sportivi tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90. Indimenticabili i suoi interventi in coda ai telegiornali domenicali, a poche ore dai Gran Premi, o le sintesi all’interno delle edizioni della Domenica Sportiva. Oggi Franzelli è editorialista del Tg1 e segue con grande interesse la vigilia del Gp del Made in Italy e dell’Emilia-Romagna.
Franzelli, per lei cosa rappresenta Imola?
«Rappresenta la passione che avevo e ho per la Formula 1 vista negli occhi delle persone che occupavano e che riempivano le colline e le tribune dell’autodromo. In nessun altro luogo, durante la mia esperienza da sportivo e da inviato Rai, ho sentito e percepito quella simbiosi tra la passione del pubblico e quello che accadeva in pista. Si respirava e si respira un’aria che non si respira da nessuna altra parte. Il merito è di quella regione e di quella gente. Nel 1994 ricordo ancora che feci uno speciale Tg1 dedicato alla passione dei motori che correva lungo la via Emilia, dalle grandi realtà come la Ferrari al piccolo meccanico che mette in piedi la sua piccola scuderia. Fu un lavoro davvero emozionante e che mi rese molto orgoglioso di raccontare quella terra».
Dal punto di vista professionale cosa le ha dato Imola?
«Imola è il motore e il cuore della passione e professionalmente mi ha permesso di realizzare uno dei servizi che amo di più e che feci per Tv7, nel primo anno di Alboreto alla Ferrari. Avevo 24-25 anni, ero in Rai da qualche anno e con un regista andai a Imola per preparare un servizio di 10-12 minuti. Il tema era: come Imola si sarebbe preparata al Gran Premio della domenica, dal giovedì, con l’allestimento e l’arrivo dei camion, agli uomini della sicurezza, i commissari, tutto il dietro le quinte, fino alla gara. Scelsi come pilota per raccontarci la preparazione Michele Alboreto. Da una parte la preparazione di un pilota e di una scuderia, dall’altra la preparazione di un autodromo. In mezzo la passione del pubblico. Ricordo un’intervista al Molino Rosso, l’hotel fuori dal casello di Imola: intervistai nella sua stanza Alboreto e la moglie, oggi è una cosa inimmaginabile. Poi realizzai un altro servizio ai box, dopo le prove. Alboreto era una persona gentile, educata, con una grande carica di umanità. Oggi manca un pilota così, un ragazzo che tra l’altro avrebbe meritato di vincere molto più di quanto non abbia vinto».
Quante esperienze ha vissuto sul Santerno da inviato?
«E’ da un po’ che non vengo, prima perché non c’era il Gp e poi perché la Rai non trasmette la Formula 1. Ma ne ho vissute tantissime, a cominciare dal 1994. Se chiudo gli occhi, mi viene in mente un’immagine. Doverosa premessa: non mi trovavo a Imola alla domenica, perché dovevo essere negli studi della Domenica Sportiva con Cesare Fiorio per la consueta finestra sulla F1. Ricordo che andai a Milano sabato sera, per evitare il traffico e per seguire con calma il Gp e prepararmi. Però ricordo molto bene una cosa di Senna: dopo le qualifiche, mentre rispondeva ad alcune domande dei colleghi, rispose cordialmente a un mio saluto, dicendomi “ciao” in diretta. Ecco, se chiudo gli occhi mi torna in mente quello sguardo. E’ l’ultima immagine dal vivo e l’ultimo ricordo che conservo di Ayrton».
Cosa pensa della Formula 1 di oggi?
«Parto da lontano. Fin da bambino era lo sport che amavo. Ricordo l’agosto del 1976 in vacanza, quando aspettavo i telegiornali per capire se Lauda ce l’avesse fatta dopo l’incidente drammatico e le fiamme. Ricordo l’ansia per la Ferrari l’anno prima, ricordo Alboreto e Senna, le prove vicino a Roma a Vallelunga tanti anni prima con lo stesso Lauda e Regazzoni. Andavo con i miei amici più grandi che guidavano la macchina. Era tutto libero, senza filtri, anche ragazzini come noi potevano entrare ai box per vedere la Ferrari che provava. Sono cresciuto con quella Formula 1. In quella di oggi mi manca il suono di quei motori, quel rumore inconfondibile. Oggi i piloti sono bravissimi, ma manca il fattore U. O meglio, il fattore U, cioè il fattore uomo, è troppo marginale. Vorrei rivedere i sorpassi autentici e non quelli finti o programmati di oggi. Abolirei il Drs, ad esempio. Ora le macchine stanno più facilmente in scia, ma io mi sono innamorato di un’altra Formula 1, perché mi piacevano innanzitutto i piloti e poi le scuderie. C’era la Ferrari, certo, ma io impazzivo per lo stile e le caratteristiche dei piloti. Una volta riconoscevo il pilota, oggi riconosco la macchina. Lo show ci deve essere, ci mancherebbe, e credo sia giusto far piacere questo sport a tutti, dall’Asia al Sud America, magari tra qualche anno avremo anche il Gp dell’Antartide. E’ l’evoluzione del mondo ed è giusto guardare avanti, ma in questo cambiamento, se non si rimette al centro la figura dell’uomo, continuerà a prevalere la noia»
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