Faenza, una nuova vita per l’oasi dell’«Elefante preistorico»

Romagna | 25 Novembre 2018 Cronaca
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Sandro Bassi - Verrà riqualificato, a partire dal nome, il parco «Sentiero delle Ginestre», ad un tiro di schioppo dalla torre di Oriolo dei Fichi, in via Salita. Una proposta progettuale è stata presentata presso il Museo civico di scienze naturali «Malmerendi» che farà da coordinatore degli interventi. Il Museo stesso ha da tempo messo in contatto l’assessore all’ambiente Antonio Bandini con un gruppo di lavoro composto da sette persone fra geologi, paleontologi, botanici, urbanisti e naturalisti, tutti resisi disponibili a titolo volontario. Si prevede intanto di utilizzare un nuovo nome - «Oasi dell’elefante preistorico» - che caratterizzerebbe meglio la peculiarità del luogo per via del clamoroso ritrovamento di un cranio di Mammuthus meridionalis completo di zanne più altre parti ossee, ritrovamento avvenuto nel 1985 e i cui reperti sono conservati ed esposti al «Malmerendi»; «viceversa - spiega il gruppo di lavoro - il riferimento alle ginestre, oltre ad esser generico e non così pertinente al luogo, induce confusione con la “Corolla delle Ginestre” che è un percorso escursionistico situato da tutt’altra parte». 
Ma il gruppo propone anche altre cose: intanto la delimitazione del parcheggio con siepi e la sua riduzione a non più di cinque stalli, poi la rimozione della torretta di avvistamento in legno, oggi fatiscente, il ripristino del laghetto (ove si è ormai insediata una piccola ma significativa comunità di anfibi) e infine l’affermazione dell’originaria «identità» del sito, ex cava di sabbie gialle e dove appunto sono venuti alla luce importanti resti fossili: non solo dell’elefante ma degli «antenati» degli odierni rinoceronte, bisonte, ippopotamo e daino. Tali reperti sono anch’essi conservati al «Malmerendi» e sulla loro base si prevede la collocazione sul luogo di sagome in ferro o acciaio corten in scala 1:1, a due sole dimensioni (quindi piatti) e di costo relativamente contenuto. «Tale installazione - spiega il gruppo di lavoro - andrebbe a costituire un’attrazione dalla forte carica simbolica ma anche scientifica e in parallelo si potrebbe ripristinare un breve tratto dell’antica parete sabbiosa che caratterizzava la cava e su cui fino a vent’anni fa nidificavano i variopinti gruccioni, rari uccelli insettivori di microclima caldo-arido». 
Per un secondo tempo infine si prevede anche la messa a dimora, in collaborazione con il Servizio Giardini del Comune, di un certo numero di piante fra quelle «che brucava l’elefante» - alcune qui scomparse ma sopravvissute altrove, come il bambù, i noci e i faggi del Caucaso, l’acero orientale, la Zelkova (una specie di olmo oggi conservatosi sui Balcani), ma anche le autoctone querce, pioppo bianco e pioppo nero, sorbo domestico e nocciolo - e identificate anch’esse grazie a centinaia di resti fossili, soprattutto foglie, esposte sempre al «Malmerendi».
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