Faenza, Rita Babini della Cantina Ancarani fotografa lo stato del comparto vitivinicolo

Romagna | 09 Maggio 2020 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - All’ombra della Torre di Oriolo dei Fichi, sulle prime colline faentine, i 13 ettari di vigneto dell’azienda Ancarani proseguono, come del resto avviene in tutte le altre parti d’Italia, il loro ciclo quotidiano, in attesa di arrivare alla vendemmia. Che sia Sangiovese, Albana, Trebbiano o i super autoctoni Famoso e Centesimino, i tralci nei campi di via S. Biagio Antico e dintorni, continuano a dimostrare che la natura non si sta fermando ma che, anzi, ha più che mai bisogno di essere accompagnata e seguita quotidianamente. Nemmeno in un periodo storico che sta attraversando una delle pandemie più impattanti e destabilizzanti della storia recente. Quello del vino, nel faentino, è uno dei comparti agricoli più importanti e veriegati. Al di là dei grandi gruppi cooperativi ci sono decine e decine di aziende medio-piccole che proseguono nel tenace lavoro in campo e in cantina. A dare voce a questo prezioso presidio antropico, economico e colturale è anche Rita Babini dell’azienda Ancarani. Rita, oltre ad essere co-titolare della cantina è da qualche tempo anche un’autorevole voce all’interno della Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) ricoprendo il ruolo di Segretario nazionale. La Fivi, solo per dare qualche dato significativo di cosa rappresenta questa associazione, raggruppa circa 1.300 produttori a livello nazionale con circa 13.000 ettari di vigneto, quasi 95 milioni di bottiglie commercializzate e un fatturato totale che sfiora il miliardo di euro. L’abbiamo incontrata per capire cosa sta succedendo al mondo vitivinicolo romagnolo e soprattutto quali potranno essere le strategie per poter uscire da una impasse, soprattutto nella vendita delle produzioni vitivinicole, che sta avendo ripercussioni non indifferenti soprattutto per le piccole realtà aziendali.
Babini, dal suo punto di vista come sta vedendo e come sta affrontando questo difficile momento storico?
«E’ impossibile non notare come sia un momento molto particolare per il comparto vino, soprattutto per chi da sempre opera nella cosiddetta filiera corta. La capacità di risposta, ovviamente, a differenza di chi ha sistemi di gestione aziendali molto più complessi e articolati, e quindi spalle economicamente forse ben più coperte e protette, è ben più limitata. Non possiamo fare altro che continuare con determinazione e caparbietà a tenere la visione complessiva aziendale ben radicata al terreno della realtà».
In che senso?
«E’ facile dirlo e basta fare un esempio. Questa crisi dovuta alla pandemia di Coronavirus, per le piccole realtà come la nostra, ha chiuso uno dei principali canali di sbocco tradizionali. Si tratta del comparto Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café, a volte ampliata anche al concetto di Catering o similari). Un settore che in questi due mesi non ha potuto operare e quindi approvvigionarsi. Stiamo parlando, per la nostra realtà ma credo che possa tranquillamente parlare anche per i miei colleghi, del circa 70/80% del giro di affari che registriamo. In cantina abbiamo stock di invenduto che nel breve periodo potrebbe diventare più difficile poter collocare sul mercato. Forse chi ha operato in collaborazione con la Gdo qualcosa in più è riuscito a ottenere ma non basta comunque».
La natura, però, prosegue nel suo corso portando entro breve a dover «liberare spazio» per permettere la nuova vendemmia. Come credete si dovrà affronatre la questione?
«Il problema, e lo dico anche come rappresentante Fivi, è proprio questo. Servono risposte concrete, di buon senso ed efficaci da parte di Roma e di Bruxelles, per fare in modo che le piccole realtà non si trovino ad avere cantine con le cisterne ancora piene di vino dell’anno precedente e la nuova produzione pronta a entare. Ma dall’altra parte servono risposte che non riducano il prodotto in giacenza mera materia prima per la distillazione».
Perché questa presa di posizione che per alcuni potrebbe sembrare una chiusura aprioristica e quasi ideologica?
«Perché il valore aggiunto della produzione del vino di piccole realtà aziendali come le nostre è quella della creazione di un prodotto di qualità. Il nostro vino non può essere aprioristicamente e burocraticamente pensato come alcol e basta. C’è un lavoro quotidano, famigliare mi verrebbe da dire, che non lo può accettare. Stessa cosa riguarda la cosiddetta Vendemmia verde. Se la risposta è quella di abbattere la produzione in pianta di una percentuale più o meno calibrata e concordata ok, si può e si deve ragionare anche perché in questo modo s’innalzerebbe ancora la qualità della produzione finale, ma se ci viene detto e imposto, come purtroppo sembra sia l’indirizzo che appare all’orizzonte, di abbattare la produzione, anche se selettiva, noi non possiamo accettarlo. Sarebbe sacrificare di fatto un qualcosa di intimo, famigliare, affettivo».
Quindi?
«Serve uno sforzo comune, anche a partire dai Consorzi di tutela che devono saper interpretare questo momento di crisi con una propositività nuova. Non si possono dare risposte vecchie a nuovi orizzonti di crisi. Il mercato non è saturo di buon vino, il problema è che sono chiusi i canali commerciali. E’ vero che il problema è nazionale ma le risposte possono e devono anche arrivare a livello locale. Di tempo per trovare le strade più giuste da percorre, tutti assieme, ce n’è».
Per chiudere, pur sapendo la dimensione totalmente incognita e imprevedibile esistente, cosa vi aspettare per questo 2020?

«Dal punto di vista del lavoro in vigna, pur con tutti gli scongiuri e anche le incognite, le premesse climatiche e di salute del vigneto sono per ora eccellenti e non abbiamo mai smesso, per quanto concerne il nostro compito di custodi in vigna, di lavorare in tal senso. Il problema è che le situazioni critiche, soprattutto da un punto di vista biologico e fitosanitario, eventualmente, inizieranno solo e proprio da questo momento dell’anno. Da un punto di vista generale, invece, non posso far altro che sperare che questa situazione di crisi si chiuda il quanto prima possibile».
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