Faenza, quando la frollatura, sposa il pesce, lo chef Jacopo Ticchi «Ecco il mio Sancta Santorum del mare»
Riccardo Isola - La scuola di cucina Kwak, di Ascom-Faenza, nei giorni scorsi ha ospitato, in una masterclass da tutto esaurito, l’estro di Jacopo Ticchi. Giovane chef riminese, neanche trentenne, che si sta imponendo come uno dei volti, delle mani e delle teste più innovative e creative della Romagna a tavola. Una giovane età che lo ha visto fare la cosiddetta «gavetta», quella vera, non solo in giro per l’Italia ma anche e soprattutto per il mondo. Ed è proprio in una di queste tappe, precisamente in Australia, approda nella cucina di Josh Niland, pioniere indiscusso di una tecnica inedita per il pesce: la frollatura. Questa, infatti, viene soprattutto utilizzata nella macelleria delle carni e permette una stagionatura delicata e capace quello di rilassare le fibre della carne così da fargli acquistare maggiore morbidezza, gusto e digeribilità.
Chef, da dove nasce la voglia di importare in Italia una tecnica e un’offerta culinaria così inedita e particolare?
«Dalla mia voglia e innata caratteristica di essere curioso. Avevo in mente un progetto imprenditoriale personale, inizialmente basato sul mondo vegetale e sulla carne, poi ritornato a Rimini, per cause anche fortuite, nell’avventura intrapresa prima con Necessaire Bistrot, e poi, nel 2019, con la Trattoria da Lucio, l’innesco. La materia prima, il pesce, non manca e quindi in funzione delle tecniche apprese e dalla voglia di sperimentare è partita l’idea».
La frollatura del pesce quali caratteristiche dà alla materia prima, quali sensazioni al palato regala, e soprattutto che tipologia usa?
«Partiamo dalla materia prima. Tutto il pescato, che da noi è quello locale, del nostro mare, si può frollare. Però è meglio puntare su grandi pezzature, siamo arrivati anche a ricciole di 40 Kg, andando su ombrine, spigole, rombi e appunto ricciole. La tecnica consiste nel mettere il pesce all’interno di frigoriferi a temperatura e umidità controllate per alcuni giorni. Si può andare da quattro o cinque giorni fino a un mese di riposo. Questa tecnica rende il gusto più concentrato, non invadente, ma pieno e ricco. Cresce la succulenza, anche se la carne può sembrare più asciutta, più concentrazione e sapidità, ma sempre in un equilibrio molto fine tra delicatezza e identità della carne. Potremmo dire che si arriva al cuore del gusto».
Sapori e consistenze che sono per tutti quindi?
«Per chi ama il pesce sicuramente. Con la frollatura si acquista più sostanza con gusti che da acquosi e semplici diventano più ricchi e complessi, ma sempre molto godibile e anche digeribili».
A proposito di cuore, lei è famoso anche per essere uno chef che del pesce non butta via nulla, comprese le frattaglie?
«Certo, questa è una materia prima nobilissima, in un comparto, quello della pesca, che non è facile poterlo definire sostenibile. Quindi non solo filetti tradizionali ma anche e soprattutto tagli minori e componenti più poveri. Cuore, polmoni, uova, fegato, vescica natatoria, tutto può essere usato se ne conoscono le caratteristi e le potenzialità organolettiche. E’ anche un modo per rendere la cucina sostenibile, amica del mare e rispettosa. Il pesce, soprattutto quello che lavoriamo noi, è un gioiello del mare e per questo va rispettato»
Infine alla luce delle polemiche attuali sul comparto e soprattutto sulla crisi di manodopera anche in ambito ristorativo quali sono i consigli che si sente di dare a chi ha voglia d’intraprendere questo mestiere?
«Di essere disposto anche a sacrifici, ma che saranno ricompensati. Ho avuto, e tutt’ora ho paura anche io di ritrovarmi in questa situazione, problemi di personale, soprattutto in sala. La ristorazione è un mondo complesso e fortemente stressante, ma sa regalare anche immense soddisfazione. Il mio consiglio? Beh direi semplice: percorrere una strada, assecondarla magari specializzandosi raccontando qualcosa di proprio, di intimo. Questo per cercare di dare e fare uscire l’anima in quello che si sta facendo e proponendo. Serve curiosità e rispetto, soprattutto in cucina, perché la ristorazione ha logiche complicate e complesse da riuscire a gestire».