Faenza, per Enrica Rinaldi la lotta è una questione di famiglia: «Timoncini il mio esempio, sogno le Olimpiadi 2024»

Romagna | 10 Aprile 2022 Sport
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Luca Alberto Montanari
Quando hai la mamma che era compagna di classe di Loris Capirossi e un cugino (Daigoro Timoncini) che ha partecipato a due Olimpiadi e a cinque Mondiali il tuo destino è abbastanza segnato: lo sport e la competizione sportiva non possono non fare parte della tua vita. E infatti Enrica Rinaldi, classe 1998 da Borgo Rivola, è una delle migliori lottatrici d’Italia. Il punto più alto di una carriera in continua lievitazione, come è naturale che sia a 23 anni e con un sacco di buoni propositi sulle spalle, è stato raggiunto all’inizio del mese di aprile in Ungheria, quando Enrica ha messo in valigia una medaglia di bronzo davvero molto pesante. Il terzo posto conquistato agli Europei di Budapest, infatti, ha permesso alla lottatrice faentina di salire per la prima volta sul podio nella categoria Senior, la punta della piramide nella scala della lotta libera: «Tutte le medaglie che ho vinto sono belle - chiarisce al telefono da Roma, dove vive e dove si allena con l’Arma dei Carabinieri - e naturalmente mi rendono orgogliosa. Ma questa è ovviamente la più importante, perché ero nella categoria più difficile, con un livello decisamente più alto».
Enrica, cominciamo da Budapest. Che torneo è stato? E soprattutto: si aspettava di tornare in Italia con una medaglia?
«Vedendo il girone che mi era capitato, ho pensato che la medaglia fosse raggiungibile. Ma sapevo che, per arrivarci, non avrei dovuto sbagliare nulla soprattutto a livello mentale. La chiave era una: non farmi prendere dall’ansia. Ci sono riuscita. Sono sempre stata serena, ho cercato di allontanarmi dall’atmosfera del palazzetto, di isolarmi dalle luci, dai colori, dalla musica e naturalmente dalla gente presente. Sono riuscita a entrare nella mia bolla e alla fine è andata molto bene. Ho indovinato la gara a livello mentale, dopo che nel 2019 avevo perso la finale terzo-quinto posto agli Europei Senior a Roma con la stessa avversaria che a Budapest ho battuto. Avevo un conto in sospeso e volevo prendermi la rivincita e soprattutto la medaglia».
Quali emozioni ha provato dopo un risultato così prestigioso?
«E’ stata una giornata davvero emozionante, non vedevo l’ora di finire l’incontro per togliermi questo peso. Poi ho finalmente potuto festeggiare».
Da quanto tempo preparava gli Europei?
«La preparazione è cominciata a gennaio, subito dopo gli Italiani Assoluti. Ho cominciato con il progetto Casa Italia, a cura della Nazionale, che ci permette di allenarci al centro olimpico a Ostia e dà la possibilità ad atleti di altri club di venire ad allenarsi. C’è stato uno scambio di partner, spesso incontravamo atleti di altre nazionalità e questo modus operandi ha alzato il livello. E’ stata una preparazione lunga e impegnativa a livello fisico, stressante ed intensa a livello mentale. Dieci giorni prima della gara, siamo andati in Ungheria al centro olimpico vicino a Budapest, abbiamo terminato la preparazione assieme alle squadre ungheresi e ucraina. Poi ci siamo spostati sulla gara».
Come è nata questa passione per la lotta? 
«Nella mia famiglia c’è Daigoro Timoncini, che è cugino di mia mamma. Quando nel 2011 è stata aperta una filiale della palestra Lucchesi a Riolo Terme, mi sono iscritta. Non facevo sport, ero sovrappeso e così i miei genitori mi hanno portato lì. C’erano i miei amici di scuola e ho scelto di cominciare ad allenarmi con loro. Dopo un anno, mi sono trasferita in palestra a Faenza».
Cosa le ha trasmesso un «monumento» della lotta come Daigoro Timoncini?
«In tante cose mi ispiro a lui, penso al suo modo di lottare ma anche al suo modo di affrontare le gare e soprattutto alle sfide che incontra un atleta nel suo percorso. Mi ha insegnato tante cose anche a livello tecnico, come il rotolamento. Ma soprattutto mi ha insegnato a prendere il meglio da quello che viene, anche dalle gare sbagliate o dalle gare più difficili, o eventualmente da allenatori che non ti piacciono o da situazioni scomode. E’ stato il mio esempio, la mia guida, quasi un maestro».
Quando ha cominciato a praticare davvero la lotta libera?
«A 13 anni ho cominciato a livello agonistico, ho vinto i campionati Italiani Esordienti, la mia classe di età. All’inizio era solo un gioco, poi ho fatto una gara, ho perso e da quel giorno ho capito che avrei dovuto imparare e che sarebbe diventato il mio sport, perché non mi piace perdere».
Oggi lei vive a Roma?
«Sì, alla Caserma dei Carabinieri. Ringrazio l’Arma, grazie a loro riesco a fare il mio sport ad alti livelli. Mi alleno con gli altri ragazzi del Centro Sportivo e mi diverto».
Qual è la giornata tipo di una lottatrice?
«Mi alzo, faccio colazione e alle 10 comincio la prima sessione di allenamento in caserma, con pesi o corsa, curando esclusivamente la preparazione fisica. Dopo il pranzo in mensa, nel pomeriggio studio (Enrica è iscritta all’Università di Scienze Politiche, ndr) e dalle 16 abbiamo il secondo allenamento di lotta, basato sulla tecnica. A Faenza vengo pochissimo, tant’è che i miei genitori mi chiamano “La Romana” (l’accento romano si percepisce chiaramente al telefono, ndr)».
Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
«Abbiamo il torneo di Ranking Series a Roma, ma soprattutto i Giochi del Mediterraneo a fine giugno in Algeria. L’obiettivo è conquistare una medaglia lì».
E il suo sogno?
«Considerando la grande tradizione di Faenza, vorrei portarla avanti a livello femminile e cavalcarla. Per l’Italia un’atleta di lotta libera manca alle Olimpiadi dal 2004, il mio sogno è riuscire a conquistarle dopo 20 anni di digiuno».
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