Faenza, nuova sezione permanente del Mic sulla storia del museo, rievocato in una mostra da Salvatore Arancio

Romagna | 11 Novembre 2022 Cultura
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Sandro Bassi
E’ un duplice progetto espositivo, con passato e presente, memoria storica e rievocazione contemporanea, quello organizzato a Faenza dal Mic con tanto di doppia inaugurazione. Si tratta di «1908-1952: a ricordo di un’impresa di sogno» e della mostra annessa di Salvatore Arancio che aprono i battenti rispettivamente venerdì 11 alle 17 e sabato 12 alle 12.
Iniziamo dalla prima, sezione permanente allestita nell’elegante soppalco in vetro del corridoio di destra («delle classiche»), in precedenza occupato da piastrelle e rivestimenti ora trasferiti nel seminterrato.
«Abbiamo voluto ripercorrere - spiega la conservatrice Valentina Mazzotti - le vicende che portarono alla fondazione del museo nel 1908 e al suo rapido sviluppo con la carismatica guida di Gaetano Ballardini, fino alle tragiche distruzioni del 1944 e alle successive ricostruzioni che portarono alla riapertura definitiva nel 1952».
Intento dei curatori è contestualizzare le prime fasi di vita dell’istituto attraverso grandi foto d’epoca cui si affiancano documenti, lettere e i pezzi sopravvissuti; questi ultimi, in alcuni casi si sono miracolosamente salvati dalle bombe e dall’incendio che colpì il museo nel 13 maggio 1944, in altri casi furono recuperati in frammenti fra macerie e calcinacci e successivamente ricomposti; oggi sono tornati a vivere, con gli evidenti segni, certo, della furia bellica, ma se possibile con un’ulteriore, dolente bellezza.
È il caso soprattutto dei primi pezzi esposti, un meraviglioso vaso della Villeroy & Boch di Dresda, uno della manifattura imperiale di San Pietroburgo, uno della nazionale di Sèvres, oltre a due deliziose civette danesi in porcellana, materiale la cui donazione fu sollecitata dall’instancabile Ballardini che, fin dal 1908, volle creare un istituto moderno, con spirito internazionale, non un mausoleo di cadaveri ma una raccolta palpitante e viva, ricca di bellezza e stimoli per i ceramisti.
«Per questo, non a caso – aggiunge Valentina Mazzotti – abbiamo “ricreato” le tappe fondamentali della nostra storia, che in estrema sintesi sono: nascita del museo nel 1908, fondazione della rivista “Faenza” nel ’13, istituzione della scuola nel ’16, mostra permanente della moderna ceramica d’arte nel ’26, acquisizione degli importanti reperti islamici donati da Robert Martin nel ’30, impianto di biblioteca e fototeca nel ’35 e nascita del concorso nazionale (“Premio Faenza”) nel ’38. Poi, naturalmente, le bombe del ’44 e tutti i recuperi successivi, rappresentati in mostra dai pezzi rinvenuti fra le macerie, sia quelle del Mic, sia quelle dei vari rifugi, purtroppo anch’essi colpiti dalle bombe, dove Ballardini aveva ricoverato questi tesori; erano case di campagna presso Merlaschio, Oriolo, i Cappuccini, Villa Spada a San Rocco e Villa Acquaviva all’Isola. Oltre ai pezzi già citati, l’esempio più recente e forse più impressionante è la scultura “Adamo ed Eva” di Jean Renè Gauguin, figlio del ben noto pittore, realizzata attorno al 1923 alla manifattura danese Bing & Grondahl e il cui restauro, effettuato dal nostro laboratorio, è stato argomento di tesi della studentessa Simona Lombardi con la guida della docente Ana Hillar per la laurea in conservazione beni culturali dell’Università di Bologna, che da anni collabora con il museo».
Infine c’è la mostra di Salvatore Arancio (visibile fino all’8 gennaio 2023), artista contemporaneo che vuole affrontare in maniera creativa i temi legati alla fragilità e alla memoria, narrando allo stesso tempo come l’eccellenza e la maestria tecnica italiane vengano utilizzate per riordinare il caos. Con sculture realizzate a quattro mani, assieme alle restauratrici del museo Arancio ha voluto dare, idealmente, una seconda vita ad opere che altrimenti sarebbero perdute per sempre o rinchiuse nei depositi. Lo stesso Arancio ha anche realizzato una serie di edizioni d’artista acquistabili in esclusiva al museo. 
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