Faenza, la psicologa dopo il caso di Palermo: "Non demonizzo TikTok ma i ragazzi sono inconsapevoli dei rischi"
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Silvia Manzani
«Non voglio incriminare il mezzo ma l’attrattiva che ha su adolescenti e pre-adolescenti, specie se l’utilizzo viene fatto fuori dal controllo degli adulti e senza consapevolezza delle insidie, è molto forte. Ed estremizzando, può portare anche a conseguenze tragiche, come è successo a Palermo». Sabrina Lattes è una psicologa in formazione psicoterapeutica che lavora a Faenza e Cotignola. Essendo impegnata anche nell’attività di tutoraggio didattico degli studenti con difficoltà economica nella zona della Romagna Faentina e nello sportello psicologico di alcune scuole di Faenza e Brisighella, ha ogni giorno sotto gli occhi ragazzini e ragazzine, quindi anche la loro dimestichezza con i social. Dal 2017 porta avanti anche il progetto «Narrativi digitali» per educare giovani e adulti a un uso intelligente di Internet e dei social: «Davanti alla morte della bambina siciliana che ha partecipato a una “challenge” su TikTok, ho pensato che davanti a queste tragedie che si consumano sotto i nostri occhi non si può rimanere con le mani in mano. Le domande dalle quali partire sono diverse. Come mai è successo? Perché a soli dieci anni quella bambina era su TikTok?». Raccogliendo le esperienze dei «suoi» ragazzi, Lattes ha notato come il social in questione venga approcciato nei modi più disparati: «C’è chi si è creato un profilo falso, mentendo sull’età. Chi si limita a guardare i video degli altri senza pubblicare nulla, chi non lo racconta ai genitori per paura delle loro reazioni. In generale, comunque, la consapevolezza dei rischi è molto bassa. Si viene inglobati in modo molto veloce e pervasivo e quella diventa la nuova realtà». Pur ribadendo che la colpa non è di TikTok ma delle dinamiche che si creano, Lattes mette in evidenza i principali aspetti che, dal suo osservatorio, rendono il social particolarmente accattivante: «La base è l’imitazione, TikTok nasce per “copiare” balletti o fare propria la voce di un cantante, cosa che ovviamente attira. È anche un social che consente di fare cose in gruppo, insieme, opzione che piace tanto ai giovanissimi. TikTok è anche il simbolo dei primi sprazzi di autonomia, del “mi gestisco da solo un social, come mi pare”. Senza contare che i video sono in loop, per rivederli bisogna aspettare che finiscono, dunque portano a una immersione totale: ci si stacca dal tempo e si entra in una dimensione parallela. In tutto questo c’è il rischio, davanti a una sfida, di non avere le capacità per gestirla e capire se ci sono elementi negativi o nocivi». Così come non demonizza il social in sé, Lattes non punta il dito contro i genitori a prescindere: «Alle famiglie dico spesso che Internet è come un oceano e costruire dighe per arginarlo è impossibile. Dobbiamo, allora, costruire una nave il più possibile solida. Se i ragazzi incontrano delle insidie e si sentono controllati, nel caso di necessità avranno paura di andare dai propri genitori per chiedere aiuto. Il lavoro che, allora, viene richiesto ai grandi nel supporto dei loro figli è difficile: trovando difficoltà nell’affrontarlo, spesso agiscono con il controllo o il divieto. Per costruire, quindi, la solidità della nave dobbiamo partire dall’accompagnare i genitori nel loro difficile lavoro di supporto all’educazione digitale dei ragazzi. Quali sono gli ostacoli che incontrano in questo lavoro? Quali i punti di forza della loro relazione? Questo potrebbe essere un punto dal quale partire per un’educazione digitale che punti soprattutto a preservare la relazione e la condivisione reciproca, e non sono al controllo sui social».