Faenza, in occasione del 1° Maggio, Giordano Sangiorgi fa il punto sulla musica: «Perso il 30% degli occupati del settore»

Romagna | 30 Aprile 2022 Cultura
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Federico Savini
«Il settore musicale, nel suo complesso, ha perso circa il 30% degli occupati in questo biennio. Si guarda alla primavera con speranza, naturalmente, ma servirà una progettualità per rimettere in sesto il sistema-musica; quello nazionale e anche locale, specie per quanto riguarda chi opera in modo indipendente, garantendo la vivacità della musica. Ed è un tema, quest’ultimo, che tocca da vicino anche le dinamiche della globalizzazione e dell’organizzazione economica mondiale». Anche se quest’anno il concerto romano del Primo Maggio si intitola giustamente «Al lavoro per la pace», ci è sembrato doveroso approfittare modo dell’evento per fare il punto sullo stato di salute del mondo lavorativo legato alla musica, e farlo con un referente addentro alla dinamiche nazionali come Giordano Sangiorgi del Mei di Faenza e del coordinamento StaGe.
In apparenza il mondo della musica è a un bivio: davanti si prospetta una primavera densissima di eventi (tanto che i fonici - anello centrale dell’indotto, vedi oltre - stanno lavorando già molto), ma alle spalle ci sono più di due anni di pandemia, con l’impossibilità di programmare lunghe stagioni di concerti, locali chiusi, pubblico disabituato, giovani spaesati e musicisti e maestranze che spesso hanno cambiato lavoro. «Il settore musicale - dice Giordano Sangiorgi - si sta muovendo a due velocità. Da una parte, come sempre e come previsto, ci sono i big; e dall’altra gli emergenti, in sofferenza come non mai».
Le ragioni della diseguaglianza?
«I big sono attesi da due anni dal loro pubblico, che è numeroso, e il volume d’affari che muovono gli permette di sostenere economie di scala molto mutate per effetto del caro bolletta, delle maggiorazioni per garantire la sicurezza, l’aumento dei costi del personale e la burocrazia da assolvere. Tutte cose ardue da affrontare per gli emergenti».
Il settore contempla varie forme di lavoro: musicisti, tecnici, gestori di locali. Qual è la situazione?
«I dati purtroppo parlano chiaro e li esporremo a Torino, in occasione dell’Eurofestival, in un evento che farà luce su questi problemi. I dati degli iscritti all’Inps Musica e Spettacoli dicono che c’è il 30% in meno di occupati, da chi ha cercato altre occupazioni a chi fa il doppio e triplo lavoro, diversamente da prima. I tecnici in meno sono il 20%, una perdita di competenze enorme. In ottobre un live club su due non riaprirà. In estate i festival e i contest saranno un terzo in meno rispetto al 2019. Per i piccoli editori e produttori la media degli introiti rispetto a quell’anno è del -70%; mi riferisco alla fascia di censo più bassa della Siae. Nella musica indipendente si incassa soprattutto grazie ai live e ai diritti connessi, mentre i big e le major in pandemia hanno comunque avuto i diritti radio-televisivi. A proposito di concerti, i promoter indipendenti hanno fatturato quasi il 90% in meno rispetto al 2019. Se non arrivano i ristori del 2021 e se non si attivano i bandi promessi dal Governo per risarcire le chiusure di Capodanno, stimabili nel mancato introito del 20% sull’intero 2022, i danni saranno ancora maggiori».
Nel nostro territorio?
«Si è perso tanto, ma vedo segnali di ripartenza fuorché nella Romagna faentina, dove i concerti pop e rock mancano da mesi. A Faenza abbiamo proposto al Comune un cartellone estivo negli spazi cittadini, magari unendo le forze tra i vari cartelloni dell’Unione»
Mentre si è smesso di parlare di sostegni alla musica dal vivo, la stampa ha dato risalto ai dati in continua crescita di quello che una volta chiamavamo ‘mercato discografico’, e che è per lo più dovuto allo streaming…
«Certo, ma si tratta appunto di un solo segmento del mercato musicale. In Italia parliamo di 200 milioni di euro, i tre quarti dei quali dovuti allo streaming. Ma si dimentica di dire che questo mercato è residuale. Il mercato dei concerti vale almeno cinque volte tanto, probabilmente di più. Il mercato dei diritti è di circa cinque volte maggiore e quello del merchandise corrisponde grossomodo allo streaming. Sappiamo peraltro che la redistribuzione degli introiti ai musicisti da parte della piattaforme è tutt’altro che equa; in pratica, con meno di un milione di clic non c’è un vero ricavo e la stragrande maggioranza di chi carica musica nemmeno si avvicina a quella cifra».
Come si potrebbe intervenire?
«A livello politico andrebbe applicata la direttiva Ue sul copyright, per far pagare i diritti in modo più equo, e poi penso che lo Stato dovrebbe ripensare meglio l’idea di creare piattaforme digitali culturali, magari di livello europeo».
A livello locale?
«Va rafforzata le rete dei contest giovanili. Non si tratta solo di creare lavoro per chi opera nella musica dal vivo e, più indirettamente, per le scuole musica, ma farebbe bene ai giovani. Vengono da due anni persi, c’è disagio; manifestazioni all’insegna dell’arte, della creatività e della comunità li aiuterebbero a superare le difficoltà del presente».
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