Faenza, il giornalista Solaroli: «La promozione dell’Albana ha bisogno di un ripensamento

Romagna | 23 Aprile 2021 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - L’Albana è il sole della vigna in Romagna. Lo è perché solo questa terra compresa nello spartiacque della via Emilia (a sud qualità a nord quantità) sta cercando di valorizzare uno dei suoi vitigni autoctoni attraverso strategie di comunicazione, informazione e penetrazione del mercato, nel post pandemia vedremo se sarà ancora possibile farlo o bisognerà riassettare il tutto, con forza. Per esempio con libri, campagne di marketing, incoming internazionale di giornalisti. Basterà? Ne abbiamo parlato con Giovanni Solaroli che l’Albana la conosce bene, visto che assieme al collega Vitaliano Marchi, ha dato alle stampe il primo libro monografico sul vitigno.
Sui bianchi di Romagna si stanno intraprendendo nuove direzioni, su base autoctona (Albana e Trebbiano su tutte) e su metodologie di vinificazione (anfora, spumanti, cemento). È la direzione giusta?
«Difficile a dirsi. La Romagna ha due anime produttive e in entrambe la qualità è sensibilmente migliorata, specialmente negli ultimi dieci anni. Non tutte le metodologie sono nuove, l’uso del cemento, ma certamente la spumantizzazione ha fatto un balzo in avanti notevole, sia nelle versioni Charmat e Metodo Classico che in quelle cosiddette “metodo ancestrale”. Oggi c’è più di una direzione e ognuna può avere un senso».
Parlando di un simbolo della vigna e della cantina romagnola, oggi quali sono i numeri, della produzione dell’Albana?
«Nel 2019 sono stati imbottigliati 6.544 ettolitri di Albana pari a 873.000 bottiglie da 0,750. La versione “secco” copre la quota maggiore con 535.000 bottiglie, poi ci sono 65.000 mezzine di passito e 298.000 di Albana dolce. Eccetto per la versione passito sono numeri in crescita e posso affermare con certezza che molte aziende stanno aumentando al loro superfice ad Albana. Restano comunque numeri bassi se si pensa che ci riferiamo all’unica Docg romagnola.
Da estimatore e conoscitore dell’Albana quali sfumature organolettiche possiede? 
«I registri olfattivi dell’Albana sono molto legati alle scelte vendemmiali e possono andare dai sentori floreali (biancospino, ginestra, fiori di campo) a quelli fruttati espressi a diversi livelli di maturità (albicocca, pesca, agrumi) spesso corroborati da accenni vegetali che possono ricondurre alle erbe aromatiche. L’assaggio di un Albana secco è invece inconfondibile: la marcata freschezza e sapidità, e occasionalmente, ma questo dipende dallo stile di vinificazione, unite alla lieve tannicità ne fanno un vino riconoscibile e identitario». 
Cosa può far decollare questo vino, interpretazioni, vinificazioni, stili, promozione?
«Che ognuno faccia la sua parte: istituzioni, produttori, ristoratori e consumatori e anche noi giornalisti. L’Albana non è un vino per tutti anche se non è da considerarsi vino di nicchia. Si dovrebbe puntare molto di più sulla sua unicità ed esclusività, ritoccando il disciplinare che presenta molti lati deboli. Sino a ieri la promozione sui vini Albana era quasi tutta sulle spalle delle piccole aziende che hanno poche risorse finanziarie ma molta volontà. Questo non basta se si vogliono creare le condizioni per alzarne la redditività e aumentare la superfice». 
Assieme a Vitaliano Marchi siete stati autori del primo libro sull’Albana. State pensando a riaggiornamenti e nuove edizioni?
«Sono e siamo felici di questa domanda. Oltre ad aver venduto velocemente le 2.500 copie stampate, abbiamo distribuito a colleghi giornalisti stranieri (in occasione di Vini ad Arte) alcune copie. Ci è stato fatto capire che una edizione in inglese è indispensabile per promuovere l’Albana nei mercati internazionali. Posso annunciare in anteprima che la traduzione sulla base della prima edizione è pronta, ma non ancora stampata. Abbiamo presentato da poco qualche idea al Consorzio vini, in previsione di una edizione più ampia e ricca e della edizione in inglese».
Si parla sempre della necessità di raccontare non solo un vino ma anche un territorio. E’ la direzione giusta?
«La Romagna ha molte carte vincenti da giocare. Una di queste dovrebbe avere come cardine l’entroterra, con i suoi personaggi, le sue storie incredibili, i suoi artigiani del cibo e le sue eccellenze enogastronomiche. L’idea di sfruttare il turismo del mare per vendere i nostri vini è di vecchia data, ma non credo che porterà grandissimi risultati. Insomma, per dirla in una battuta, un albergo che ha un turista non lo molla facilmente e le occasioni per portarli a scoprire l’entroterra sono per lo più legate alle condizioni meteorologiche. Però qualcosa in più si può fare, partendo proprio dalla promozione e costruendo rapporti con le filiere che gestiscono l’incoming».
Cosa manca alla Romagna e quindi in questo caso all’Albana per fare il salto della qualità “definitiva”?
«Per dirlo in una parola: sistema. Produttori poco coesi, poche risorse, comunicazione digitale approssimativa, siti non aggiornati, accoglienza generosa di animo, ma poco organizzata, poca conoscenza delle lingue, Le giovani generazioni che stanno entrando in azienda hanno più energie e una visione più contemporanea del mondo vino, sono più prepararti e conoscono qualche lingua. Sono ottimista riguardo il futuro della Romagna e del suo vino simbolo».
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