Faenza, il direttore di Ascom Carugati lancia l’allarme sulla tenuta dei piccoli esercenti: «Panifici, macellerie, abbigliamento a forte rischio»

Romagna | 07 Dicembre 2023 Economia
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Riccardo Isola - Non solo panifici ma anche macellerie, frutta e verdura, pubblici esercizi e ancora abbigliamento e scarpe. Sono questi i settori del commercio al dettaglio che stanno soffrendo, oggi, una crisi perdurante e iniziata già da diverso tempo. Non solo dovuta alle contingenze macro economiche legate, per esempio al caro prezzi, all’inflazione, alla riduzione per non dire vera e propria contrazione dei consumi, ma anche e soprattutto per una mancanza di ricambio generazionale e di impossibilità di trovare manodopera e dipendenti. Una fotografia con forti chiaroscuri che interessa faenza ma anche tutta quella dimensione urbana e periferica della provincia, testimoniata e sottolineata dal direttore di Ascom-Confcommercio Faenza, Francesco Carugati.
Direttore, il commercio al dettaglio sta soffrendo parecchio e soprattutto da diversi anni. Il territorio faentino e comprensoriale a che punto è?
«La situazione è molto preoccupante. Stiamo registrando chiusure di attività, in diversi settori merceologici, che hanno però fatturati che gli permetterebbero di continuare comunque ad andare avanti. La questione è l’età degli imprenditori che non trovano risposte alla loro domanda di personale. E non si può solo dare la colpa ai ritmi e alle esigenze organizzative, anche perché le operazioni necessarie all’attività, prendiamo per esempio quello della panificazione, sono enormemente cambiate rispetto ad alcuni anni fa. Oggi ci sarebbero delle modalità di fare mestieri che garantisco al contempo reddito e qualità della vita, ma non si trova chi voglia provare a investire in questo ambito».
Quali sono i principali motivi di questa lenta ma continua agonia commerciale?
«Il fatto principale è che le nuove generazioni certi tipi di lavoro non li vogliono più fare. Inoltre ci si metta la vendita on line, che ha ripercussioni sia sul commercio di prossimità ma anche sulla grande distribuzione organizzata che oggi contrae enormemente i suoi spai vendita. Basti pensare, nella Gdo, che qualche anno fa le superfici arrivavano fino a 2.500 metri quadrati, oggi si cercano spazi dove aprire che al massimo arrivino a 800 metri quadrati».
Quali sono i settori che soffrono di più?
«Quasi tutto il comparto alimentare è in forte difficoltà. E’ vero che soprattutto sul frutta e verdura aperture di negozi gestiti da stranieri stanno ammortizzando le chiusure, ma queste però sono continue. Resiste ancora la nicchia di qualità ma i beni di largo consumo fanno fatica a essere venduti dalla piccola distribuzione. Non parliamo poi delle macellerie e dei panifici. Nel solo faentino, per quanto concerne forni con laboratorio, resistono poco più di una decina. Parliamo di un settore che negli ultimi 30 anni ha perso tranquillamente il 70% delle attività. Contrazione importante, di diverse decine di punti percentuale, lo ha registrato anche il settore abbigliamento e calzaturiero, dove, per esempio, è totalmente assente l’imprenditorialità di stranieri se non in alcune medio grandi strutture».
Il problema è di Faenza, e con lei delle medio e grandi città, o è generalizzato?
«Purtroppo l’emorragia è generalizzata. A maggior ragione nelle aree periferiche, e mi riferisco soprattutto all’Appennino, questa situazione è ancora più grave. Se a Casola Valsenio, Brisighella, Marradi o in qualsiasi alta località collinare e montana chiude un negozio è praticamente impossibile che venga sostituito da un altri. Questo crea un effetto domino molto preoccupante con importanti ripercussioni sociali, di servizi e quindi di conseguenza di presidio».
Cosa si può e si deve fare?
«E’ difficile pensare a una ricetta unica. Sicuramente la politica deve dare possibilità e aiuti affinchè il commercio al dettaglio non prosegua, con incentivazioni, sgravi o comunque con politiche attive verso l’imprendiotrialità commerciale. Il rischio è che si perda un patrimonio storico di tutti con conseguenze negative facilmente intuibili nelle loro ripercussioni territoriali».

Samuela Ferroni :«A fine anno dovremo chiudere per sempre il forno del Borgo»
Oltre cinquant’anni di storia della panificazione faentina sono destinati, a fine anno, a chiudersi. Questa è la decisione «triste e dura» che Samuela Ferroni, figlia Giorgio forno di zona piazza Bologna, ha dovuto prendere in questo difficilissimo 2023. «E’ una presa d’atto - sottolinea la stessa - a causa della difficoltà non solo di reperire manodopera da assumere in questo ambito, ma anche e soprattutto della impossibile capacità di vendere l’impresa. In un anno e mezzo non si è fatto vivo nessuno. Questo porterà a dover licenziare tre dipendenti che da anni collaborano con noi». Storica e conosciuta attività legata al mondo dell’arte bianca che nella zona del borgo nuovo ha imperato per decenni. Nel 2024 questo rione che sfiora le 10mila persone residenti, avrà un solo fornaio. A dire la verità abbassate le saracinesche al 31 dicembre, Samuela proseguirà «in un altro locale» l’attività che parallelamente ha messo in piedi da qualche anno. «Si tratta di un laboratorio specializzato esclusivamente nella panificazione, pasta fresca e pasticceria per celiaci - sottolinea - ma che porterò avanti da sola in quanto non riesco a riassorbire nessun ex dipendente. Anche qui la difficoltà di trovare personale è evidente ma non posso certo fermarmi ora». Il messaggio è chiaro «si sta facendo una fatica a trovare il ricambio per un’attività artigianale che ha sfamato e servito la città per decenni. Soprattutto - rimarca - mio padre, ormai anziano, ancora opera all’interno del laboratorio facendo il pane ma non è più possibile e plausibile che lo possa continuare a fare. Lo sappiamo che questa decisione per me, per mio padre e per la mia famiglia, è un lutto ma non è possibile fare altrimenti». Almeno un raggio di sole e speranza rimane. «Da gennaio - conclude Ferroni - nel borgo di Faenza, a pochi metri di distanza dall’attività di famiglia, avremo l’unico punto di produzione e vendita diretta di prodotti per celiaci, e questo ci dà la forza per poter andare avanti. Non sarà facile visto che dovrò ricreare un giro di clientela e per questo mi sa che dovrò anche puntare, al di là delle consegne fisiche, sempre di più sulla vendita dei miei prodotti anche online».
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