Faenza, il 25 aprile dei ragazzi del progetto «Eredi», riflessioni e «Bella Ciao» techno

Romagna | 25 Aprile 2022 Cronaca
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Anna Balducci - A festeggiare in piazza non siamo più abituati. Siamo tornati a frequentare locali e discoteche, le chiese sono gremite a Pasqua e a Natale e nelle case si organizzano i festini più di nicchia. A tutti questi eventi sappiamo trovare un senso. Ma intanto dimentichiamo perché qualcuno, ancora, si organizza e scende in piazza il 25 aprile. Nel 1945 l’Italia si liberava, istituzionalmente, dal nazifascismo. La guerra finiva e, insieme al lutto, si respirava un’aria nuova, i più giovani assaporavano, per la prima volta, la libertà. Dopo due lunghi anni di lotta, i partigiani - quelli che nel ‘43 avevano scelto la clandestinità e la Resistenza -, finalmente uscivano allo scoperto, per le strade, e ballavano. Cosa resta di questo, oggi? Poco e niente. C’è a chi questa risposta, «poco e niente», non va bene. Sono i ragazzi che hanno scelto di partecipare a «Eredi», il percorso proposto dal Comune agli studenti delle scuole superiori di Faenza che porterà a un’«Azione Resistente». La mattina di lunedì 25 aprile, quando dopo il tradizionale discorso del sindaco il corteo arriverà in Piazza del Popolo, lì ci saranno loro. Sono pochi, una quindicina, prevalentemente liceali. Si trovano, da febbraio, i venerdì pomeriggio al Teatro Due Mondi. Nei primi incontri formativi hanno ascoltato Angelo Emiliani, storico locale, Gloria Ghetti, professoressa di storia e filosofia al liceo Torricelli-Ballardini e Giovanni de Luna, già professore di Storia contemporanea all’Università di Torino.
«Quando ho letto del progetto - racconta Asia Ronchi, studentessa partecipante -, mi sono sentita in dovere di approfondire la Resistenza, di spingermi oltre il libro di storia, di toccarla con mano. Come cittadina, ma soprattutto come persona avevo bisogno di sapere di più e di fare qualcosa».
Ora, infatti, tocca ai ragazzi. Li affianca, con la professoressa Ghetti, il direttore del teatro, Alberto Grilli, che li aiuta a capire come si struttura un’azione pubblica efficace e come si sta in piazza. L’idea è quella di stendere un tappeto di parole, con fogli e scotch di carta, formando un grande rettangolo su cui possa cadere l’occhio dei passanti e attorno al quale ci si possa sedere o solo fermare a pensare. Qualcuno dei ragazzi, ai microfoni, leggerà alcuni testi scelti. Ci saranno passi di libri, versi di canzoni, pezzi di discorsi; parti di lettere dei condannati a morte della Resistenza, dichiarazioni di innamoramenti e di odio verso l’indifferenza. «Abbiamo pensieri e stravaganze differenti, ma un obiettivo comune. Metterci in gioco insieme è il nostro gesto resistente. Per me, fare Resistenza significa scegliere, avere il coraggio di dire di no e di dissentire, esporsi, collaborare, prendersi le proprie responsabilità. È essere liberi», aggiunge Ronchi. «Io ci sono - sottolinea Jacopo Guerra, un altro studente -, perché trovo ispirazione nell’impegno e nella forza di quei ragazzi che, per la libertà e per fare la Costituzione, sacrificarono tutto, anche la vita». Alla fine dell’azione, un giovane dj animerà la piazza con musica contemporanea e, perché no, una versione techno di «Bella Ciao».
«Se non posso ballare - scriveva Emma Goldman, attivista anarchica -, non è la mia rivoluzione».
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