Faenza, i fratelli Montanari di Ca' di Sopra puntano l’essenza della propria identità sul Romagna Sangiovese «Marzeno»

Romagna | 25 Maggio 2024 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - Inerpicandosi sulle prime dolci colline fuori Faenza, in direzione Appennino Tosco-romagnolo, ci s’imbatte nella più piccola, in termini d’estensione, tra le sedici sottozone romagnole del vino. Parliamo di Marzeno. Territorio fortemente caratterizzato da terreni costruiti attorno a una matrice argilloso-calcarea, con una prevalenza di argille rosse, incastonata tra le cugine vitivinicole chiamate Brisighella, Oriolo e Modigliana. Qui tra le poche cantine presenti in questo scrigno enoico c’è «Ca’ di Sopra». I fratelli Montanari, Camillo e Giacomo, conducono direttamente l’azienda famigliare da quasi un quarto di secolo puntando su una semantica enoica raccontata attraverso le declinazioni soprattutto del Sangiovese. Sono sorsi identitari, autentici, capaci di evocare una storia fatta di passione, dedizione e capacità interpretativa straordinaria. Variazioni sul tema del rosso principe indiscusso dei sorsi di questa terra, che però non manca di percorrere tangenti sul tema in bianco. Da provare, per esempio, la new entry del Trebbiano, da vigne vecchie, hanno quasi quarant’anni anni, oppure la regina di Romagna, l’Albana, in cui il sorso è stilettata di veridicità e terroir. E poi ci sono loro Crepe, il Sangiovese Superiore, il Marzeno, Sangiovese in purezza, e le due testimonianze di cru di vigne, Montale e Ca’ del Rosso, che disegnano tele organolettiche in sorsi rappresentativi di questo territorio. Espressività vitali, di rispetto e soprattutto d’emozione in sorso che fanno parlare Marzeno attraverso cristallizzazioni liquide di empatia abbracciata tra annata e terroir. «Siamo interpreti rispettosi di quello che la stagione ci offre» affermano i vigneron. Lo fanno con una delicata capacità interpretativa in cui la grammatica del suolo sposa la tecnica della cantina. «Usiamo prevalentemente il cemento - rimarcano - e il legno, ma mai troppo invasivo, perché vogliamo far parlare l’autenticità del lavoro della vigna attraverso l’alternarsi delle stagioni». Una poetica stilistica  che si fa sorso e che rappresenta, veramente, una grande interpretazione del Sangiovese di Romagna. Provate il Crepe. Il vino di base, se si può chiamare così. E’ lo specchio dell’idea, condivisa e ormai storicizzata, di far parlare il grappolo. «Frutto - confermano Giacomo e Camillo - di un concerto di quindici vinificazioni in cui esce la rappresentazione più reale di cosa è la nostra idea di Sangiovese». Un vino che parla di frutto, di florealità in viola, con tannini levigati e capaci di farsi accompagnatori straordinari soprattutto della tavola tradizionale di Romagna. Provate il Crepe con grigliata o primi fatti in casa conditi con ragù e poi ne riparliamo. Ma l’escalation emozionale arriva con il Sangiovese Marzeno, rivendicazione della Sottozona, che segue le regole del Crepe in fase di vinificazione con l’aggiunta di passaggio calibrato in legno. «Un vino che a differenza del fratello “minore” - ci tengono a sottolineare i due fratelli - acquista un’eleganza e una complessità maggiore grazie anche a una macerazione molto più lunga in fase di vinificazione (siamo sui 90 giorni), ma che non perde in croccantezza di frutto, con tannini integrati». Poi arriviamo a loro: Vigna Montale  e Vigna Ca’ del Rosso. «Sono le nostre massime espressività dell’autenticità, della filosofia e della rappresentazione vitivinicola di Ca’ di Sopra». Lo fanno con una loro superba e fine digressione sulle variabili organolettiche che dalla Romagna raggiungono, per eco, la non lontana Toscana. Qui c’è la triade di terra, sangue e frutto che in concerto rimarcano una texture fine ed elegante che acquista sferzate balsamiche, chinate, agrumate e di mineralità che spiazzano per la loro inebriante complessità. Il primo, Montale, figlio di argille azzurre, a 230 metri sul livello del mare, con vigna a Poggio esposto a Nord è eleganza pura. Qui da vigne del 2000 nascono sorsi in cui il frutto è più marcato, c’è mineralità, bacca, sia fresca che secca, con balsamicità selvatica, forte imprinting vegetale e agrumato. Poi c’è il fratello maggiore, la prima annata risale al 2015, di Ca’ del Rosso. E’ un estratto di Marzeno: frutto croccante, balsamicità, terziarietà «senese», tannino fresco e gentilmente asciutto. Perfetta rappresentazione di un’altitudine, siamo a 150 metri sul livello del mare, di un monoclone romagnolo, esposizione Nord, argille rosse con presenza di calcare. Vino vivo, che lascia partire il «Beh!». Parla la lingua toscana in un corpo romagnolo, in cui si gioca su tannini equilibrati, freschezza, note scure e mineralità. Un racconto snello di territorio fine ed elegante. Basta poco alla Romagna per emergere, per farsi rappresentare in calici di espressività enoica emozionante. Capaci di imbastire un racconto sincero, non ridondante, senza fronzoli stilistici ma figlio di un’idea chiara e precisa, come quella dei fratelli Montanari, di cosa possa essere il  Sangiovese nel XXI secolo. Salute!
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