Faenza, Giordano Sangiorgi racconta il weekend del Mei, che coinvolge tutta la città

Romagna | 05 Ottobre 2024 Cultura
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Federico Savini
«Per la musica indipendente, non supportata dalle major né dalle piattaforme musicali, il Mei è sempre più un’oasi di libertà. Il nostro contest di quest’anno, che permetteva semplicemente di suonare a Faenza nel weekend, ha avuto più di 600 iscritti. È difficile contare i concerti che organizzeremo, ma avremo tre palchi in contemporanea: piazza del Popolo, piazza della Libertà, piazza delle Erbe e anche il parco di San Francesco la domenica». Anche se l’abbiamo visto cambiare anche parecchio nel corso degli anni, in un certo senso il Mei di Giordano Sangiorgi - che torna nel centro di Faenza coi suoi mercatini, i concerti, gli incontri per addetti ai lavori della filiera musicale e la sua colorata e rumorosa fauna da venerdì 4 a domenica 6 ottobre – rimane inossidabile nella sua «missione» di dare spazio agli artisti che non hanno (spesso nemmeno cercano) il sostegno dei grandi media, dell’industria discografica e anche delle piattaforme di streaming.
«È un mondo in difficoltà quello della musica indipendente in Italia – ribadisce Giordano Sangiorgi -. Lo vediamo innanzitutto dalla carenza di club in città un tempo molto ricche di offerta come Milano e Roma».
A Faenza la musica indipendente ha ancora un suo spazio, evidentemente, ma rispetto a trent’anni fa com’è la situazione?
«È peggiorata, ci sono molti meno spazi. La scomparsa del supporto fisico e la crisi economica e la pandemia che hanno messo in ginocchio i circuiti dei club alternativi, i negozi di dischi e i circoli ha colpito questo mondo. Il digitale non è una risposta per chi sta fuori del mainstream. Solo 1500 artisti in italiani superano i 10’mila euro lordi di fatturato annuo, figurati se poi queste cifre devi divederle con i membri della band, senza contare la filiera di autori, produttori, turnisti, fonici e addetti stampa. Per di più, le piattaforme orientano il mercato verso la musica usa e getta e calano le opportunità per suonare dal vivo, si sono quasi dimezzate dopo il Covid».
La sera di venerdì 4 saranno sul palco Diodato e Giusy Ferreri, quasi degli opposti: un indipendente storico che vince Sanremo e una cantanet se non proprio sanremese, comunque uscita dai talent, che viene al Mei. Quant’è cambiato il tuo mondo?
«Nemmeno così tanto se parliamo di questi nomi, dato che Giusy Ferreri, prima di X Factor, era stata al Mei come cantautrice. Quest’anno tornano a Faenza tanti artisti legati al Mei, vedi Cisco con la Bandabardò, che è stato negli stand tantissime volte fin dagli anni ’90, e poi Piotta, gli Estra, Giulio Casale, Vinicio Capossela che presenterà un libro sabato 5, non parliamo di Roy Paci e poi lo stesso Max Zanotti, con i Bloom insieme a Giusy Ferreri, veniva al Mei nei primi 2000 con gli Idea Sonica. Molti di loro vengono dalla scena world e folk che abbiamo sempre sostenuto».
E che in qualche modo ci porta al liscio, con la serata ormai «consolidata» di venerdì 4 quando suoneranno i Santa Balera. Che futuro vedi per loro?
«Sono il futuro del settore del ballo liscio. Tutti dovrebbero dargli spazio, credo sia l’ultima generazione che lo potrà tramandare, sennò rischiamo davvero di perderlo. Il progetto per loro è realizzare un disco e portarli nelle balere fuori regione».
Enrico Brizzi viene al Mei per la prima volta?
«Sì, adesso ha pubblicato il seguito di Jack Frusciante è uscito dal gruppo e sta girando molto, ma noi lo invitammo mesi fa, per il trentennale di un libro che se anche non era interamente dedicato alla musica ha influenzato enormemente la scena musica italiana degli anni ’90, diventando un vero e proprio culto generazionale. Non poteva mancare al Mei».
L’anno scorso annunciasti che il Mei sarebbe stato sempre più faentino. Quest’anno?
«Suoneranno tantissimi faentini, per lo più giovani che arrivano dalle scuole di musica e dai festival del territorio. Lo Spider e il Piccadilly arricchiranno l’offerta del Mei organizzando concerti, le realtà musicali ella città saranno coinvolte come sempre e si unirà a noi anche il mondo della notte, con il dj-set del sabato notte a Palazzo Laderchi, la festa organizzata poi al Corona e l’after show al Giradischi. Credo di poter dire che il Mei, che l’anno scorso ha davvero riempito la città, con un successo forse senza precedenti, è un collante unitario fra le realtà cittadine».
A proposito, anche la musica è stata un collante sociale nei giorni dell’alluvione. Ma quest’anno sembra diverso, la rabbia prevale sul senso di comunione. Oggi la musica può fare qualcosa per la Romagna alluvionata?
«Nell’immediato servono interventi il più possibile concreti. Tre alluvioni in 16 mesi è roba da libri di Storia e c’è gente, non poca purtroppo, che le ha subite tutte e tre. Adesso sta alle Istituzioni intervenire, non ci piove. Poi arriverà credo anche la musica. I progetti culturali serviranno, tra un po’ di tempo, per mantenere alta l’attenzione sugli alluvionati e tener viva la memoria del disastro. L’appello che abbiamo rivolto ai giornalisti musicali italiani ci ha portato donazioni e aiuti, che abbiamo indirizzato al Comune, alla Piccola Betlemme e ad Artistation. Qualcosa di concreto già si è mosso e cercheremo di non far calare i riflettori su questa tragedia».
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