Faenza, Elisa Emiliani partecipa con un racconto all’antologia «Anch’io. Storie di donne al limite»

Romagna | 08 Marzo 2021 Cultura
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Margherita Calzoni
Festa della Donna. All’inevitabile mimosa vi proponiamo di affiancare un romanzo collettivo, scritto non solo da donne e che non si rivolge solo a un pubblico femminile, anzi. Anch’io. Storie di donne al limite propone 44 racconti scritti da altrettanti autori, tutti sul tema della discriminazione e della violenza sulle donne. Così lo descrive Heiko H. Caimi, curatore dell’antologia: «Il progetto nasce sulla scia del precedente Oltre il confine. Storie di migrazione (Prospero, 2019), proseguendo un discorso sulle discriminazioni, molto caro sia al sottoscritto che alla casa editrice. Il progetto nasce anche dalla mia passione per la forma del racconto e per le opere collettive, e per la capacità di immedesimazione che una buona storia può provocare nel lettore. Vivendo una storia, per così dire, sulla propria pelle, ritengo sia più facile per un lettore empatizzare coi protagonisti che con un saggio sullo stesso argomento, che potrebbe essere più esaustivo, ma non susciterebbe le stesse emozioni. Pensoa sia più semplice sensibilizzare su un argomento importante come quello che abbiamo affrontato con un mezzo “caldo” come un racconto, che con un mezzo “freddo” come un articolo o un saggio: fa sentire più coinvolti.
Scopo dell’antologia è esplorare il tema dando un quadro più completo e complesso possibile. I pregiudizi, le discriminazioni, le vessazioni e le violenze nei confronti delle donne hanno così tante sfaccettature che individuarle tutte sarebbe improbo anche per un saggista. Le autrici e gli autori che hanno voluto partecipare sono tanti, il che conferma l’importanza del tema e la sua capacità di colpire la sensibilità degli scrittori». Tra questi figura anche un’autrice faentina, Elisa Emiliani, che all’interno di questo volume ha pubblicato il racconto Contingenze.
Elisa, qual è secondo te il significato da attribuire oggi all’8 marzo?
«Sin dal principio si è trattato di una riflessione sui diritti delle donne. Agli inizi del ‘900 si lottava per il diritto di voto, che le donne italiane hanno ottenuto dopo la prima guerra mondiale. Forse ho una strana percezione del tempo, ma non mi sembra così tanto tempo fa. Oggi possiamo votare, lavorare, divorziare, abortire. Forse il senso dell’8 marzo sta nel fare il punto della situazione. Grazie alla lotta di chi è venuto prima di noi, adesso in Italia diamo alcune cose per scontate. È un errore. Bisogna sempre vigilare sui diritti, perché basta un attimo per vederseli revocati. La Polonia è dietro l’angolo. Oltre a fare il punto della situazione, va individuato quello per cui ancora è necessario lottare. Questa forse è la cosa più complicata, perché spetta a noi. Parlo di diritti da conquistare, non da godere. Quindi il diritto a una legislazione che ci protegga, a centri antiviolenza che supportino chi riesce a trovare la forza di scappare, a un’educazione scolastica che eradichi la cultura della violenza di genere, alla parità dei salari. Certo, non siamo tutt* sindacalist* o ministr*, ma possiamo smettere di nicchiare alle battute sessiste, di stare in silenzio quando vogliamo parlare, di scegliere l’azione che comporta meno resistenza e iniziare a fare pressione, un poco, tutti i giorni, in ogni occasione, e non smettere mai».
Avete pubblicato un libro collettivo l’8 marzo. Qual è il contributo delle nuove generazioni di scrittori su questi temi?
«Sono ottimista, credo che col passare delle generazioni l’umanità progredisca sull’apertura mentale e l’accettazione della diversità come valore. Questo mi sembra riflettersi anche nella narrativa, che agisce da pungolo per la riflessione. Un esempio è il romanzo L’animale femmina di Emauela Canepa (Einaudi), dedicato a una ragazza che si barcamena tra lavoro e studio, trovandosi invischiata in una situazione a dir poco complicata. Un altro romanzo che consiglio è 13 di Jay Asher (Mondadori), famoso per la serie televisiva 13 reasons why, che descrive le ragioni del suicidio di una studentessa delle superiori».
Nel tuo racconto Contingenze, il culto di cui narri può essere assimilato all’enclave maschile proposto da Ira Levin in La fabbrica delle mogli? La fantascienza rimane per te un tema fondante?
«Del romanzo di Levin ho la trasposizione cinematografica del 2004 (La Donna Perfetta, con Nicole Kidman, nda), ma mi era sembrata sciocchina, quindi non avevo approfondito. Mea culpa, anche perché Stephen King dice di Ira Levin che è “l’orologiaio svizzero della suspance”. Quindi grazie del collegamento, anche se il mio racconto non è certo paragonabile a questo classico moderno, ma ci sono elementi comuni, in particolare la normalizzazione del controllo e della violenza. La fantascienza si presta a un gioco di ipotesi estreme e nella società di Contingenze i personaggi femminili sono abituati ad essere costantemente all’erta, perché sono costantemente a rischio. Cercano di aggrapparsi a statistiche, di convincersi di rappresentare l’eccezione, ma hanno già interiorizzato la paranoia come modalità di sopravvivenza. Solo un dato a proposito di donne e fantascienza: in Italia c’è il premio Urania, il più importante del genere, che garantisce la pubblicazione di un romanzo nella collana omonima. In totale l’Urania è stato vinto precisamente da 2 donne su 31 premiati, circa il 6%. Just saying».
Ci può essere, da donna, un luogo di pace nel nostro quotidiano? Le protagoniste del racconto giungono a questa meta?
«Ci può e ci deve essere “una stanza tutta per sé”, uno spazio di libertà nella forma dell’indipendenza economica, emotiva, letteraria. Un modo per far sentire la propria voce e non necessariamente parlando di femminismo. Quando Heiko mi ha chiesto di partecipare all’antologia il  primo pensiero è stato: io? Un racconto sul tema della donna? Nah. Poi ci ho riflettuto e mi sono resa conto (meglio tardi che mai, spero) che parliamo di emancipazione quando raccontiamo storie di libertà e resistenza. Le mie protagoniste raggiungono un traguardo importante: vedono il problema con chiarezza e decidono di agire. Quando fai questo, sei già liber*».

 
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