Faenza, dal 1998 Alessandro Morini, con la moglie Daniela, gestiscono la cantina all’ombra della Torre di Oriolo

Romagna | 17 Gennaio 2020 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - Fare vino è un atto d’amore, di passione e se vogliamo anche artistico. Lo sa bene Alessandro Morini che assieme alla moglie Daniela, da oltre una ventina d’anni, era infatti il 1998 quando decisero di aprire la propria cantina all’ombra della Torre di Oriolo, realizzano vini dal grande imprinting territoriale.  E qui, dove il «terroir» trae benefici sia dalla delicata brezza adriatica che dai più freschi venti che scendono dall’Appennino Tosco romagnolo, e dai terreni che dall’avamposto di pianura si alzano leggermente fino alla pedecollina faentina, che la produzione dei Poderi Morini acquisisce linfa vitale e personalità organolettica. Un’acquisizione che nel 2003 li vede realizzare la nuova struttura che permette di realizzare circa 90 mila bottiglie l’anno. E lo fanno arricchendo il loro nettare di Bacco con etichette e packaging artistici. Da Pablo Echaurren a Giuliano Della Casa fino a Gianfranco Morini (detto il Moro) sono loro che danno quel primo appeal alle bottiglie nate in via Gesuita 4 con creazioni ideate e pensate per ogni tipologia di vino. «La collaborazione con gli artisti, al di là della parentela con il Moro - ricorda Alessandro Morini - nasce fin da subito grazie all’amicizia con Servadei della bottega Gatti di Faenza che mi ha permesso di incontrare e stringere una rapporto di amicizia e collaborazione con Echaurren prima e con Della Casa poi». Ma come è nata questa passione per le vigne e per il vino, ce lo spiega lo stesso Alessandro Morini: «Lavoravo già in ambito agricolo aiutando mio padre ma nel 1998, assieme a mia moglie, ci siamo innamorati di questa azienda nelle immediate vicinanze della Torre di Oriolo e visto che era in vendita, l’abbiamo acquistata. Sono 19 ettari vitati e da lì è partita l’avventura dei Poderi Morini».
Cosa si produce oggi in azienda?
«Siamo territoriali al 100%. Per la stragrande maggioranza realizziamo Sangiovese ma non mancano anche testimonianze in bottiglia del vitigno simbolo della Romagna in bianco l’Albana e soprattutto di quelle che rappresentano in toto questo preciso territorio, il Centesimino. In azienda abbiamo anche vigne di uva Longanesi, Pagadebit, Cagnina e Merlot». 
Quante versioni e interpretazioni realizzate?
«Siamo da sempre molto attenti a non stravolgere l’identità varietale aggiungendo solo una interpretazione personale al lavoro finito. Ecco quindi che per il Sangiovese immettiamo sul mercato due versioni, una realizzata con affinamento in acciaio e una più complessa, la nostra Riserva, in cui il vino riposa in tonneaux per 12 mesi almeno. Tre sono invece le referenze per l’Albana con una versione secca, una passita e una, realizzata solo in annate speciali, che rappresenta la nostra Riserva. Per il Centesimino le versioni diventano invece quattro: acciaio, Riserva, Passito e l’ultima creata nella tipologia Spumante rosé. L’unico uvaggio lo riserviamo al nostro Nadèl, un vino pensato in onore di mio padre, che vede un blend tra Sangiovese, Centesimino, Longanesi e Merlot»
Essendo a Oriolo, il vero protagonista vitivinicolo però rimane il Centesimino, che cosa rappresenta per voi questo prodotto enologico?
«E’ la scommessa vera della cantina e del micro territorio di Oriolo. Noi lo abbiamo provato a valorizzare anche grazie alla consulenza e ai suggerimenti che ci vennero fatti dal grande Luigi Veronelli che ne capì in tempi non sospetti il grande potenziale. Tanto è che ci suggerì di realizzare anche una grappa. Cosa che riuscimmo a fare solo a partire dal 2006, due anni dopo la sua scomparsa. Produttori di questo particolarissimo vitigno siamo sei, qui nel faentino. Oltre a noi ci sono Ancarani, Zoli, Conti, Spinetta, Balducci. In totale siamo a circa 22 ettari vitati presenti in tutta Italia di cui 20 sono a Faenza. Gli altri produttori che realizzano loro interpretazioni sono Quinzan, Villa Venti e Tenuta Santa Lucia».
Come sta rispondendo il mercato, nazionale e internazionale, al made in Morini vitinicolo?
«Siamo molto contenti e soddisfatti. Nel 2018, per esempio, la nostra produzione è stata per il 50% immessa sul mercato nazionale e per il restante 50% è volata all’estero. In Europa siamo presenti in Svizzera, Belgio, Olanda. Fuori dal continente abbiamo vini in America, Australia e Taiwan»
C’è un prodotto che più di altri le sta particolarmente a cuore?
«Sono tutti al centro delle nostre attenzioni ma sicuramente il Nadèl è quello che più di altri ha un significato particolare. Anche la nostra Riserva, il Nonno Ricco, è uno di quei vini che hanno un rapporto sentimentale all’interno della cantina».
Ci sono nuovi progetti o scommesse per il prossimo futuro?
«Ogni vendemmia è una scommessa. Al di là delle battute, che poi più di tanto non lo sono visti i cambiamenti climatici ormai indiscutibili e imprevedibili, quest’anno abbiamo voluto, assieme all’enologo Maurizio Castelli, provare la creazione di una versione nuova dell’Albana. Si tratta di un vino secco ottenuto con macerazione lunga del vino all’interno di botti di legno. Indicativamente questa prova ci permetterà di realizzare circa 1.500 bottiglie. Una sperimentazione che se riuscita, come ci aspettiamo, potrebbe proseguire e magari ampliarsi nel futuro».
Poderi Morini da sempre guardano alla sostenibilità ambientale della produzione e gestione aziendale. Cosa significa per voi sostenibilità?
«Più che a un vero e proprio approccio biologico noi puntiamo sulla sostenibilità ambientale. Ci sembra un modo più efficace per lasciare un vero e concreto segno di attenzione all’ambiente. Abbiamo un impianto fotovoltaico sul tetto che di fatto ci rende quasi autosufficienti dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico, utilizziamo bottiglie con vetro ‘leggero’ per non incrementare l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera, i nostri spostamenti vengono fatti con mezzi aziendali a metano. Grazie a questo approccio ‘Vini buoni d’Italia’ ci ha conferito il premio ‘Ecofriendly’ per l’impegno dimostrato sui valori dell’eco-sostenibilità ambientale. Valuteremo comunque anche un’eventuale conversione al Bio, anche se per ora non è una priorità».
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