Riccardo Isola - «Cosa riapro a fare il 26 aprile se lo posso fare solo se ho posti assicurati e presenti all’esterno. Noi non li abbiamo e non li possiamo chiedere vista la conformazione urbana nel quale la nostra attività esiste e insiste. E la stessa cosa vale per giugno, anche allora ci dicono che a pranzo potremo aprire ma solo all’esterno. Ma lo sanno come e dove è distribuita la ristorazione nella stragrande maggioranza dei casi in Italia?». Non è tenera Natascia Cucchi, titolare della mitica e storica trattoria Marianaza di Faenza, e del resto dopo aver potuto tenere aperto poco più di cinque mesi sui quattordici di pandemia, la pazienza può anche essere finita. «La mia tipologia di servizio ristorativo non si addice all’asporto e quindi non ho potuto far altro che chiudere in tutti questi mesi. Abbiamo perso di fatto un anno di incassi e per colpe degli stop and go continui, e soprattutto dichiarati all’ultimo minuto - sottolinea la ristoratrice faentina - abbiamo speso tanti soldi per materie prime che non abbiamo potuto utilizzare. Così non si può andare avanti. Ci hanno colpito come categoria ma abbiamo ben visto come gli “untori” non eravamo e non saremo certo noi. Infine - lancia una steccata verso chi da mesi firma Dpcm restrittivi - mi spieghino perché le mense possono stare aperte e noi ristoratori invece no. Qual è la differenza? Mah non credo sia questa la strada giusta».
Un’altra attività, legata e basata sullo street food sottolinea le difficoltà legate a questo lungo periodo pandemico. «Siamo in balìa dei Dpcm da un anno con continui aggiornamenti e cambiamenti che destabilizzano qualsiasi programmazione. Per far fronte a questo momento - spiega Cristina Anderlini dell’atività Matilda del Monticino - abbiamo aperto anche un punto vendita in sede fissa lungo le mura di Faenza. Il nostro problema è che non avendo la licenza di somministrazione non possiamo richiedere, gratuitamente, uno spazio fuori al locale dove posizionare qualche tavolino, o meglio, lo possiamo fare vista la situazione pandemica ma per avere uno stallo d’auto ci viene chiesta una cifra importante, circa 700 euro. Così - conclude - è difficile poter continuare a lavorare con serenità, speraiamo almeno che il Comune di Brisighella ci permetta, come ha fatto lo scorso anno, di derogare la possibilità di poter usufruire il nostro giardino di casa come luogo dove poter continuare a servire i nostri prodotti vistp che gli spazi lo consentono».
Infine c’è chi ha la fortuna o la sfortuna, a seconda dei punti di vista, di avere il proprio negozio all’interno di una galleria commerciale. Ambito colpito dalle chiusure imposte. Un esempio è l’oreficeria Oropiù di Gianantonio Ossani che ha il negozio nel centro commerciale del Borgo. «La questione sta tutta in una indiscriminata accusa nei confronti dei poli commerciali di essere untori. Capisco - rimarca - che per grandissimi superfici, con gallerie in cui convivono 50 o più negozi, qualche problema potesse essere prevedibile. Non però in realtà come la nostra, che di fatto serve un quartiere, nella quale al massimo ci sono 5 o 6 attività. No non è così che può andare avanti anche perché - conclude Ossani - l’anno scorso, nel mio settore, di fatto non ci sono stati matrimoni e le cerimonie, come cresime o battesimi, si sono tenute, quelle poche, fino a metà ottobre. Il tutto sempre con l’incognita da parte dei clienti di non capire se l’attività commerciale potesse essere aperta o meno. In aggiunta - chiude - noi ci chiudono tutti i week-end, io lo sono da inizio novembre 2020, e parallelamente stanno parlando di riaprire gli stadi. Siamo alla follia».