Faenza,  Centesimino Dop per sorsi di terroir, una degustazione molto evocativa

Riccardo Isola - Sabato 24 settembre, all’interno della Torre di Oriolo si è tenuto una degustazione guidata «Il Centesimino a Oriolo e nel resto del mondo» curata sapientemente dal sommelier Gilles Coffi Degboe. Una batteria composta da una decina di campioni nella loro tipologia secco e spumantizzato, provenienti dalle sette cantine che operano all’ombra della Torre sulle colline faentine, a cui si sono aggiunte quattro tipologie provenienti da aziende fuori dalla Dop e cinque campioni della versione passito. Sono state diverse espressioni di Centesimino, con annate differenti spazianti dal 2016 al 2021, che hanno fotografato uno stato di salute di questo vino fortemente territoriale molto promettente. Una disamina organolettica che ha dato una serie di risultati chiari. In primis che la tipologia vinificata entro i confini della Dop e oltre ha una chiara definizione organolettica in cui prevale, per linearità di espressività, l’eco del territorio di Oriolo. Questo è lo spazio fisico, geologico, umano più identificativo del vitigno. Non che fuori dalla «Val d’Orcia faentina», il Centesimino non sappia presentarsi con eleganza, personalità e carattere, ma il terroir vocato per eccellenza, per noi, è quello di Oriolo dei Fichi. Un secondo aspetto emerso, figlio comunque della riflessione appena fatta, è che sono tutti grandi sorsi di territorio.
Quello assaggiato è n vino della terra, in quanto figlio di una micro area (parliamo di sette cantine per un massimo di 50mila bottiglie rivendicate l’anno per ora) in cui la tradizione ha fatto un sorso tanto contemporaneo quanto autentico. Il tutto nel corso del tempo, visto che parliamo di un vitigno che ha preso concretamente e fortuitamente il via alla fine degli anni ’30. Grazie a Pietro Pianori, commerciante faentino che acquistando una dimora in centro a Faenza si trova una vita sopravvissuta per poi impiantarla in un podere di proprietà proprio sulle colline faentina. Da qui dopo varie traversie i tralci di «Savignon rosso», questo è il nome più conosciuto del Centesimino, iniziano a diffondersi attorno agli anni’60. Da lì l’escalation senza però mai voler e dove correre dietro al tempo.
Sulla degustazione fatta nei giorni scorsi, quello che viene fuori dai calici di rosso violetto è un sorso varietale, autoctono, inedito e fruttoso. Un vino figlio del terroir dal quale nasce che si fa rappresentazione vivente di un cammino organolettico, limitato ma evocativo, del sudore, del clima, della fatica di coltivare la terra a sud della via Emilia. Sono sorsi che plasticamente ricordano l’estroplastico di Zauli. Sono sorsi che parlano la lingua del vigneron che con parsimonia e costanza accompagna la vigna nel suo percorso di maturazione lasciando emergere il varietale che racconta una grammatica di frutto, fiore, speziature e mineralitá in cui i tannini sono rarefatti, in filigrana e sempre timidi nel volersi mostrare. Un vino che dal 2016 al 2021 acquista caratteristiche differenti, l’annata, l’imprinting, la tipologia di vinificazioni giocano una parte fondamentale, senza mai tradire lo scheletro gustoso, croccante e mai invadente del sorso.