Silvia Manzani - È in Italia da quasi vent’anni, ha un figlio di otto e nella vita si occupa di formazione e consulenza, per le realtà del terzo settore, in materia di marketing, comunicazione e raccolta fondi. Carina Busto, 43 anni, argentina, dall’aprile scorso è la presidente della Consulta delle cittadine e dei cittadini stranieri del Comune di Faenza, un organo consultivo e propositivo al quale l’Amministrazione può rivolgersi per le questioni che riguardano la vita dei migranti. Il suo primo obiettivo è quello di favorire la partecipazione e le occasioni di incontro degli stranieri, perché per abbattere muri e pregiudizi ci vuole anche l’impegno di chi viene da fuori: «Io ho un’esperienza migratoria anomala, sono arrivata in Italia per frequentare un master e poi a Faenza per amore. Essendo argentina, poi, ho grandi affinità culturali con l’Italia. Quel che vedo, però, è che se gli stranieri non si fanno conoscere, non partecipano attivamente alle iniziative della città e non si sensibilizzano sulle questioni che riguardano la comunità che li accoglie, difficilmente sarà possibile eliminare il razzismo».
In questo senso, secondo Busto la scuola è fondamentale in quanto primo luogo della socializzazione e laboratorio permanente di multiculturalità. Da qui l’idea di organizzare il forum dell’immigrazione in programma sabato 24 novembre (l’appuntamento è dalle 15 alle 19 nella sala del consiglio comunale, in Piazza del Popolo 31) proprio intorno al tema «La scuola multiculturale fa bene. Cambiamenti e opportunità» (vedi programma nel box). «Nelle classi - precisa Busto - si combattono quotidianamente, attraverso le buone prassi attivate in chiave multiculturale, sia i bassi rendimenti scolastici che la marginalità sociale. La scuola non ha un compito facile, sono gli insegnanti stessi a doversi mettere in gioco per accogliere, integrare, includere. In questo senso, ragioneremo anche sul ruolo delle famiglie dei bambini stranieri, che poi spesso stranieri non sono, visto che sono nati in Italia».
Per Busto la parola integrazione deve, insomma, uscire dalla mera teoria: «Al di là delle politiche, delle procedure e dei protocolli, integrare dev’essere un atteggiamento mentale. Atteggiamento che di certo contempla anche il fatto che lo straniero rinunci a un pezzetto di sé e delle proprie origini, ma che ha a che vedere anche con l’idea che la scuola anticipa quello che, nella società di fuori, accadrà tra qualche decennio. I nostri figli, non a caso, spesso non hanno le barriere mentali, nei confronti del compagno marocchino o albanese, che possono avere gli adulti». Un’apertura che fa rima, per la presidente, con arricchimento: «La conoscenza dell’altro al di là delle differenze significa flessibilità, rispetto, capacità di adattamento. Doti fondamentali per vivere il futuro».