Faenza, calanchi d’autunno: itinerario su creste d’argilla 

Romagna | 08 Novembre 2020 Cronaca
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Sandro Bassi - In autunno, si sa, diventano belli anche i calanchi. C’è chi sostiene siano belli sempre e in effetti si può esser d’accordo, tuttavia nella piena estate l’intera fascia delle argille si trasforma in un’autentica fornace e d’inverno c’è notoriamente un mare di fango, quindi è proprio il caso di approfittare delle mezze stagioni; in particolare dell’autunno, appunto, quando i pochi «fiori dei calanchi» (Inula viscosa e Spillo d’oro, entrambi gialli) cominciano a punteggiare i bordi delle creste e anche i veri e propri anfiteatri calanchivi, normalmente nudi o quasi.
Il Parco della Vena del Gesso romagnola tutela per sua natura l’affioramento di rocce gessose, ovvio, dove ci sono le maggiori peculiarità geologiche e certamente anche floristiche, però comprende anche una fascia marginale caratterizzata da quelle forme di erosione sui terreni argillosi che chiamiamo «calanchi» e che possiede anch’essa evidenti valori naturali, principalmente paesaggistici. 
Emblematico il caso di Monte Mauro, oggetto dell’escursione che si propone stavolta: è il cuore della catena gessosa, con le sue grotte, i suoi dirupi, le sue piante mediterranee, ma appare anche circondato, sul lato verso Riolo, da calanchi tutt’altro che disprezzabili.     
Il seguente itinerario è di lunghezza media (circa 3-4 ore), con dislivello contenuto (2-300 metri), ma soprattutto è accorciabile o allungabile in vari modi, sul posto, lì per lì, semplicemente a seconda del tempo disponibile o della voglia che si ha.
Da Riolo Terme, da Villa Vezzano, o da Brisighella, si raggiunge la via Monte Mauro, che si stacca dal fondovalle Sintria appena a valle (1 km) della frazione Zattaglia. Si sale per breve tratto sotto le possenti rupi gessose e al primo incrocio si parcheggia nelle piazzole a destra del tornante, quotato 207 metri: dritto inizia via Cò di Sasso (segnavia Cai Faenza n. 513), una piacevole stradina sterrata che taglia a mezza costa il versante est oltrepassando la casa privata omonima e iniziando a scendere in una valletta argillosa. Si lascia a sinistra il sentiero 513 e si prosegue sulla principale per altri 300 metri esatti per voltare sulla prima laterale a destra, in salita. E’ una carrareccia che sfiora la tondeggiante ed erbosa cima di Col Vedreto (i ruderi della casa omonima si vedono a fatica fra i sambuchi un centinaio di metri più a destra) per poi salire a Monte Besdone (261 m). Da qui in poi si cammina per spettacolare cresta calanchiva, sempre su larga pista ma con bellissime vedute che ci accompagnano oltre l’abbandonato insediamento de Le Casecchie, scheletrito in mezzo ad un ciuffo di frassini. Il percorso, sempre su cresta, comincia a piegare verso sinistra, snodandosi ora su un vero sentiero panoramico fra burroni - senza pericoli - e campi ottenuti per bonifica fin dagli anni Venti e Trenta del ‘900, anche con l’aiuto di esplosivi per modellare il versante ed attenuarne le pendenze (vedi riquadro). 
Si confluisce su un caratteristico tornante della via Rio Ferrato, che sale da Riolo verso Monte Mauro e la si segue a sinistra per circa mezzo km, lasciando i segnavia 515 che da un piazzale-parcheggio porterebbero alla soprastante Ca’ Castellina. Si arriva così ad una marcata curva a gomito dove si prende a sinistra una stradina (segnavia 513) che oltrepassa in successione tre case isolate, tutte circondate da bosco, soprattutto di querce, perché dal nudo mondo dei calanchi siamo passati al versante nord dei gessi. Gessi che comunque ben presto finiscono, nei pressi di casa Tomba (241 m). Si abbandona qui il segnavia, che se va a destra per ripido, fangoso sentiero e per sterrata molto dolce, fra campi, si raggiunge nuovamente il fondovalle del Rio Cò di Sasso, dove si va a destra. 
L’ultima sorpresa prima di raggiungere il bivio già toccato all’andata (e dove si chiude l’anello) è una chiesetta tipologicamente unica nel suo genere, costruita a metà ‘900 dal Consorzio Bacini Montani per ricordare la lunga battaglia della bonifica contro le argille. 

«La nascita di un paesaggio» in una pubblicazione
E’ uscito «La nascita di un paesaggio. Storia del Consorzio Bacini Montani di Brisighella 1917-1960» (a cura di Matteo Banzola, 215 pagg.), edito dallo stesso ente in occasione del centenario dalla nascita. Fu nel tragico 1917, l’anno peggiore della guerra, l’anno di Caporetto e delle decimazioni, che malgrado le enormi difficoltà d’altro genere nacque il più antico istituto italiano teso ad occuparsi finalmente di sistemazioni idrogeologiche. L’esigenza di combattere le erosioni del suolo, i dissesti, le frane, era peraltro sentita da tempo, prova ne siano gli articoli che fin dal 1907 - ma con sporadiche avvisaglie anche prima - lamentavano come fosse ormai necessario prendere provvedimenti in tal senso, dopo che i disboscamenti e l’eccesso di pascolo avevano ridotto parte della collina ad una «distesa di biancheria». Dopo un esordio difficile, il Consorzio si impegnerà soprattutto nella cosiddetta «bonifica dei calanchi», operazione lunghissima in cui, accanto a sistemazione idrauliche «classiche» (ad esempio con briglie sui corsi d’acqua più ripidi o con rilevati al piede degli anfiteatri calanchivi per creare bacini destinati ad interrarsi e ad avviare così una ricolonizzazione vegetale dal basso verso l’alto), verranno sperimentate tecniche nuove, anche con l’uso di esplosivi per rimodellare i versanti. E’ ovvio che sarà il regime ad incoraggiare tale impresa, prevedendo insediamenti (casette rurali concepite appositamente), costruzione di strade e in generale una «bonifica dei terreni svantaggiati» non molto diversa, come concetto, da quella che nei secoli precedenti aveva interessato la pianura. Non mancheranno gli aspetti propagandistici, dopodiché si arriverà al disastro della guerra 1940-45 alle cui conseguenze il Consorzio dovrà far fronte per anni, con una lenta e faticosa opera di autentica resurrezione.
Il volume, che arriva appunto al 1960, contiene anche interessantissime immagini d’epoca tratte dal prezioso archivio interno del Consorzio stesso.
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