Faenza, Alessandro Morini, dell’omonima cantina, racconta la sua esperienza con il vitigno autoctono di Oriolo dei Fichi il Centesimino

Romagna | 25 Novembre 2023 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - Se non uno dei «padri fondatori» del Centesimino poco ci manca. Stiamo parlando di Alessandro Morini, faentino e vignaiolo doc dal 1998, in quel di Oriolo.  E’ qui che «Sandro» inizia la sua avventura tra filari, mosti e imbottigliamenti un quarto di secolo fa. Dopo aver fondato la cantina Poderi morini, il suo approccio è stato fin da subito quello di «promuovere i vitigni autoctoni di queste terre», e quindi oltre a Sangiovese e Albana ecco arrivare l’allora quasi semi sconosciuto Centesimino (conosciuto ai pochi come Savignon rosso) e Burson (uve Longanesi). Da quegli albori a oggi di strada e di vendemmie ne sono passate diverse. I suoi vini, soprattutto firmati appunto Centesimino, solo volati Oltreoceano, sono finiti nelle carte dei vini di ristorati pluri stellati (Canavacciuolo, Cracco, Enoteca Pinchiorri). Un bel pedigree quindi, che dimostra le potenzialità di questo prodotto.
Morini come nasce il suo incontro con il Centesimino?
«Nel 1998 quando decisi di iniziare questo percorso nel mondo del vino, tra le vigne di proprietà abbiamo notato la presenza di alcune piante anche molto vecchie con grappoli quasi sconosciuti. Parliamo di circa un paio di ettari vitati. Assieme al nostro enologo Sergio ragazzini abbiamo deciso di fare prove di vinificazione con solo quelle uve, e la magia è scoccata. Poi è arrivata l’intuizione, attorno al nuovo secolo, precisamente nel 2001, di contattare e incontrare il grande e compianto Luigi Veronelli per farmi dare qualche dritta su questo particolarissimo vino prodotto da questa vigne. Da lì è iniziata la rinascita, almeno per noi, del Centesimino».
Che ruolo ha avuto Veronelli in questa riscoperta vitivinicola?
«Per noi importantissimo. Tra i suggerimenti che ci ha regalato, pur non conoscendo il prodotto, c’è stato quello di provare a realizzare un metodo charmat lungo, quindi uno spumante, per mantenere il più possibile intatte le caratteristiche organolettiche del vino. Da lì nasce il nostro Morosè, attorno al 2004, oggi tra le punte di diamante, soprattutto in America, per la nostra produzione».
Di che produzione parliamo?
«Oggi facciamo quattro versioni di vino a base Centesimino. Uno spumante, un vino che fa solo acciaio (Il Savignone), una riserva (Traicolli) e un prodotto molto di nicchia ma molto apprezzato che è il passito rosso (Rubacuori). Quest’ultimo avendo caratteristiche e aromi spiccati e molto particolari è perfetto per accompagnare cioccolata e selvaggina da piuma cosa molto ricercata dagli chef e dalla ristorazione stellata. Per quanto ci riguarda direi che siamo attorno alle 30mila bottiglie l’anno in totale».
Se a livello nazionale e estero, seppur con numeri ancora relativamente piccoli, questo vino piace, a livello locale com’è la situazione?
«Questa forse è la vera sfida del presente. Anche il mondo della ristorazione locale, e intendo almeno regionale, dovrebbe provare a mettere in carta rappresentazioni vitivinicole del Centesimino perché sono sorsi identitari, unici, autentici e veramente solo nostri. In tutta la Romagna, infatti, al massimo ci saranno una decina di aziende che lo producono e imbottigliano in purezza. In alcuni casi anche con metodologie particolari che stanno comunque ottenendo successi».
Proprio sui successi Poderi Morini ne ha ottenuti diversi, nel corso degli anni, con il Centesimino. E’ così?
«Si, assolutamente. Diversi premi e guide, comprese nell’anno in corso, ci hanno riconosciuto lo sforzo e la qualità della nostra produzione. Grandi firme della critica enologica nazionale, soprattutto con il Savignone, ci hanno spronato a non demordere. Del resto, questo vitigno, per me è come un figlio che sto facendo crescere ormai da una ventina di anni».
Che cosa caratterizza , al gusto, il Centesimino?
«E’ un vino dalla grandissima personalità. Un bouquet dal forte imprinting semi aroamtico, che tiene molto bene l’invecchiamento, ne abbiamo riprova nella nostra riserva storica di Traicolli, praticamente tutte le vendemmie, che ogni volta che vengono aperte bottiglie vecchie regalano emozioni e sorprese continue. Un vino che ammalia e soprprende, anche provando ad abbinarlo con le giuste pietanze, della tradizione romagnola e non solo. Direi che abbia  le carte giuste per crescere».
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