Faenza, a Santa Maria dell'Angelo i restauri del museo Diocesano
Sandro Bassi
Andrà avanti fino al 12 giugno la mostra «Disvelare il sacro», nella grande chiesa di Santa Maria Nuova o dell’Angelo a Faenza. A cura del museo Diocesano, la rassegna espone i risultati di quattro anni di restauri ad opere solo in minima parte già esposte, in massima invece provenienti dai depositi. È anche l’occasione per vedere la seicentesca sacrestia, sgombrata e riallestita per questo evento e che presenta ancora l’imponente armadio in noce qui trasportato dai Cistercensi provenienti da Santa Maria Vecchia e che andarono a sostituire i Gesuiti dopo la loro soppressione da parte del Papa del 1773; tramite il corridoio dietro l’altare - anch’esso sgombrato per l’occasione e allestito con piccoli ex voto - si può passare all’oratorio «delle Dame», dove c’è il resto della mostra.
Ma vediamo i pezzi, a partire da quel capolavoro di oreficeria quattrocentesca costituito dalle Sante Mani, due reliquiari in rame dorato, di tipologia molto rara, che campeggiano nel presbiterio.
In sacrestia, per mole e imponenza, spicca la grande tela realizzata a Roma da Cristoforo Unterperger per l’oratorio di Palazzo San Giacomo a Russi. Per raffinatezza, malgrado la provenienza marginale e, per così dire, «campestre» (la parrocchia rurale di Moronico, fra Marzeno e la Pietramora), si impone il bellissimo quadro con l’Annunciazione e Tre Santi, già parzialmente restaurato dal Diocesano dopo il rovinoso furto di mezzo secolo fa. Il dipinto era stato anche danneggiato dal fuoco; i ladri, forse per sbarazzarsi dell’oggetto rivelatosi invendibile, l’avevano infatti gettato tra le fiamme che avevano semidistrutto proprio la figura più interessante, quel San Lazzaro nudo (il «Lazzarone» mendico che sta sotto la mensa del ricco Epulone, anche se talvolta viene confuso con il più famoso Lazzaro di Betania, risorto per miracolo da Cristo) che ora è stato ripristinato. Infine c’è un singolare dipinto su tavoletta di alabastro con San Francesco consolato da un angelo musicante.
Entrando invece nell’Oratorio delle Dame dal retro-altare ci sono ben quattro Maddalene che occupano la parete di fronte e che idealmente dialogano con le opere della mostra in corso al San Domenico di Forlì. Al centro c’è la più bella, cioè la Maddalena del Noli me tangere eseguito da Francesco Bosi, il «Gobbino dei Sinibaldi», per il convento domenicano di Faenza; per questo quadro è previsto un restauro cui si può contribuire con un’offerta libera all’ingresso; a lato, oltre a due Maddalene anonime e ancora da studiare, c’è quella del «guercinesco» Matteo Loves, una piccola chicca.
Ancora, un lacerto di affresco geometrico (fine XV sec.) dalla cripta dei Battuti Bianchi in Duomo e due affreschi medievali dalla chiesa di San Barnaba apostolo; queste opere, assieme alla commovente Santa Filomena del 1836, in terracotta policroma, di Giuseppe Ballanti, sono divenute oggetto di altrettante tesi di laurea da parte di studenti del corso in conservazione e restauro dei Beni Culturali dell’Università di Bologna.
Conclude la mostra una tela cinquecentesca già appartenuta alla collezione del Vescovo Battaglia con un San Giovanni Evangelista di autore ignoto ma di ispirazione leonardesca.
Ingresso libero; giovedì, venerdì e domenica 16.30-19; sabato anche 10-12.30.