Faenza, 25 anni fa il barbaro assassinio di Padre Daniele Badiali in Perù, la storia della beatificazione «sospesa»

Romagna | 18 Marzo 2022 Cronaca
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Sandro Bassi - Il 16 marzo 1997, esattamente venticinque anni fa, veniva rapito come ostaggio, sulle montagne peruviane dove era missionario, padre Daniele Badiali. Il suo corpo fu ritrovato due giorni dopo: due colpi di pistola alla nuca avevano posto fine alla sua vita, breve – aveva appena compiuto 35 anni – ma vissuta con pienezza e con totale dedizione verso il prossimo.
Daniele nasce il 3 marzo del ‘62 a Ronco, nella campagna a nord di Faenza, da famiglia contadina. Nel ‘77, ad appena 15 anni, inizia ad impegnarsi nell’Operazione Mato Grosso che organizza campi di beneficenza basati sulla raccolta di materiale riciclabile: ferro, vetro, cartone. La solidarietà diventa la sua prima regola di vita: l’anno dopo è fra i terremotati del Friuli e nel 1980 fra quelli dell’Irpinia. Si diploma all’Istituto per l’agricoltura di Persolino, poi svolge il servizio civile nella parrocchia di San Giuseppe a Faenza. Nel 1984 si reca per la prima volta in Perù, presso la missione di padre Ugo De Censi che per lui sarà sempre come un secondo padre. Nel 1986 entra in Seminario a Bologna e nel giugno 1991 si fa prete; appena due mesi dopo riparte per il Perù, diventando parroco in una zona poverissima che comprende circa sessanta villaggi, i più lontani dei quali distano due giorni di cammino. Lui non si scoraggia: a piedi o a dorso di mulo raggiunge tutti, per portare conforti religiosi ma prima ancora materiali e umani.
Porta viveri, medicinali, accoglie in parrocchia un bambino disabile (da qui nascerà il progetto di «casa Danielitos» per l’accoglienza di tanti bambini disagiati e che sarà portato a compimento dopo la sua morte) e costruisce un rifugio per alpinisti sul Pisco, a 4600 metri di quota: il ricavato andrà tutto ai bisogni dei parrocchiani. Rientra in Italia solo due volte e per brevi periodi, nel 1993 e nel 1996. L’anno dopo, l’epilogo, dovuto soprattutto, ancora una volta, alla sua generosità: sta rientrando a casa con alcuni volontari quando la sua macchina incappa in un posto di blocco; uomini armati vogliono un ostaggio e prendono Rosamaria Picozzi, ma padre Daniele scende dalla jeep e si offre al posto della ragazza. I banditi lo portano via dopo aver lasciato una richiesta di riscatto... poi qualcosa evidentemente va storto...
Oggi padre Daniele riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Ronco. A lui è dedicata una cappelletta di fronte all’eremo di Gamogna e la via Crucis che dalla chiesa di Trebbana sale verso il vicino monte del Cerro. Su di lui ci sono sei libri, due dvd, diversi cd, una miriade di articoli e addirittura diversi fumetti pubblicati a puntate su «Il Piccolo». Tutti e sei i libri, oltre a testimonianze varie e perlopiù di prima mano, comprendono i suoi scritti, che sono sostanzialmente lettere (a parenti, amici, altri volontari, parrocchiani, ecc.) e canzoni. Chi scrive - si perdonino le notazioni personali - ha conosciuto Daniele nei lontani anni Settanta in uno dei campi del Mato Grosso a Ronco. Lui era il più carismatico di tutti, sia quando lavorava, sia quando suonava la chitarra. Un sorriso luminoso e pulito, accattivante. Aveva già le idee chiare. Negli anni Settanta c’era un’aria nuova, fatta di idealismi e aspirazioni di libertà in tutti i sensi. Lui invece aveva adottato il principio più antico, evangelico, semplicissimo e complicatissimo nello stesso tempo: aiutare gli ultimi. «Lo ricordo quando venne a Faenza nel ‘96 per i funerali del suo amato vescovo Bertozzi - dice Giulio Donati de “Il Piccolo”, curatore di uno dei sei libri su Padre Daniele - e non lo dimenticherò mai. E’ stato un vero missionario nel senso letterale del termine, perché ha vissuto la vita appunto come missione».
Non possiamo a questo punto non chiederci e non chiedere come mai la causa di beatificazione, in corso a Roma, sia stata archiviata. E perché? Perché non ha fatto miracoli? Perché non ha camminato sui carboni ardenti? «Tecnicamente - spiega Giulio Donati - la causa di beatificazione si è bloccata a quello che potremmo chiamare il “primo livello” cioè il riconoscimento di Servo di Dio; poi ci sarebbero stati i successivi riconoscimenti di venerabile, beato e santo. Al di là di questo aspetto che può sembrare eccessivamente burocratico, capisco che la commissione, come qualsiasi commissione di questo mondo, abbia applicato i propri parametri ed usato criteri sui quali non voglio polemizzare. Nel mio piccolo tuttavia non posso non dire che la sua vita è stata semplicemente esemplare e confacente ad un modello evangelico, se non di santità».
 
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