Erika e la prematurità: "Il tempo sospeso della Tin"
Erika Montuschi, faentina, cinque anni fa ha vissuto l’esperienza della Terapia intensiva neonatale con il primo figlio, nato di un chilo e 400 grammi alla 32esima settimana di gravidanza. Un’esperienza che l’ha molto segnata, nonostante il lieto fine e la forte preparazione con la quale era arrivata al parto: «Avendo la gestione, sapevo che il mio bimbo sarebbe nato prematuro e mi ero caricata di forze. Anche a mio nipote era successa la stessa cosa, quindi la mia consapevolezza era senza dubbio più alta rispetto a quella di tante mamme per le quali la nascita prematura arriva all’improvviso, in modo traumatico». Il figlio di Erika è rimasto ricoverato un mese: «Per fortuna la sua storia clinica è stata in discesa, non ha avuto complicazioni. Ma si vive quel periodo in uno stato di congelamento, sospesi e in attesa, impotenti e pieni di sensi di colpa. Io pensavo sempre al fatto che avevo procurato al mio bambino una sofferenza, che non ero riuscita ad arrivare alla fine della gravidanza come le altre mamme. A tutto questo si sommava l’impossibilità, nelle prime settimane, di prenderlo in braccio e allattarlo, così come il contenimento emotivo al quale si è costretti là dentro: perché magari tuo figlio sta crescendo e sta bene ma a un metro dalla sua culla c’è un neonato che è in ben altre situazioni. Insomma, anche la gioia per i piccoli passi avanti va tenuta dentro». Erika, per questo, è convinta che avere la possibilità di essere seguiti dagli psicologi sia fondamentale: «Io non ne ho sentito il bisogno. Ma l’opzione deve esserci a sostegno di tanti genitori che ne sentono la necessità».