Eraldo Baldini ha pubblicato un nuovo saggio sulla stregoneria in Romagna scritto insieme a Silvia Camporesi

Romagna | 16 Aprile 2022 Cultura
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Federico Savini
«Un luogo comune relativo alla caccia alle streghe è che l’Inquisizione Cattolica sia stata particolarmente spietata nel merito. In realtà, quel terribile tribunale spietato lo fu eccome, ma agì soprattutto contro le eresie, mentre la stregoneria fu in prevalenza un “affare” dei tribunali civili. Questo la dice particolarmente lunga su quanto queste figure fossero radicate nell’immaginario comune, e da secoli e secoli». Si intitola Streghe, malefici e magia popolare in Romagna ed esce per Il Ponte Vecchio il nuovo saggio antropologico di Eraldo Baldini, che in questo caso ha co-firmato il volume insieme alla editor Simona Camporesi. Questo lavoro si aggiunge alla corposa messe di studi di Baldini sulla demologia e il mondo contadino di Romagna. E questa volta, più ancora che in altri casi, lo scrittore di San Pancrazio insieme a Simona Camporesi va a toccare un tema vastissimo e tuttora delicato come quello della stregoneria, fenomeno nella cui trattazione si intrecciano temi che toccano il più generale quadro del soprannaturale, ma a partire da malefici che nascono per questioni assai terrene, fino alla storia delle donne e più in generale capitoli più o meno oscuri della vicenda umana a latere della «Grande Storia».
«Simona Camporesi oggi è una editor e una “nomade digitale” - spiega Eraldo Baldini -. Questo libro nasce da un aggiornamento della sua tesi di laurea, che coinvolse anche me su indicazione della sua professoressa di allora, Elide Casali. Era una bellissima tesi, che Simona ha voluto riprendere in mano, aggiornandola e pensandola per una pubblicazione. Io ho aggiunto una lunga parte dedicata in particolare ai processi sulla stregoneria in Romagna. Cose che in qualche misura compaiono in altri miei libri, ma che qui vengono messe in fila con una trattazione coesa e organica».
In Romagna la caccia alle streghe fu di particolare rilievo?
«Lo fu nella stessa misura di quanto accadde, in generale, nei Paesi cattolici. Un’area come quella modenese, ad esempio, è stata significativamente più “ricca”, per così dire, di processi. Dietro al fenomeno storico della “caccia alle streghe” c’era soprattutto la volontà di cristianizzare un certo tipo di reminiscenze culturali e religiose pre-cristiane. Non è un caso che la caccia alle streghe sia stata più violenta nei Paesi non riformati del Nord Europa, dove appunto le credenze pagane precedenti avevano meglio resistito all’influenza della cristianizzazione. Diciamo che in quei Paesi ci fu un maggiore manicheismo, mentre in Italia la cristianizzazione del folklore era già a buon punto, basti pensare al nostro culto dei santi, che ha spesso radici antiche, pre-cristiane».
La stregoneria non è, insomma, una cosa «univoca»…
«È opportuno distinguere tra gli episodi di caccia alle streghe nati là dove il potere vedeva una congiura diabolica da estirpare e invece la stregoneria come mero fenomeno popolare, conseguente alla diffusa e semplice paura di incorrere in un maleficio. Il timore delle maledizioni è radicato nell’uomo da tempo immemore e con una certa forza: l’inchiesta napoleonica in Romagna del 1811 ad esempio ne parla tantissimo».
Ma la credenza in una maledizione come la pédga tajêda, la più peculiare tra le romagnole, è ormai estinta. O no?
«La temutissima “orma tagliata”, ritenuta un maleficio addirittura mortale, credo anch’io sia rimasta patrimonio solo di chi si interessa di folklore e antropologia. Ma il campo della magia stregonesca è più vasto, include ad esempio i rituali per impedire la formazione di coppie e poi tutta la congerie di persone interpellate per scoprire e guarire dai malefici».
Come si distingueva nel mondo antico, tra il guaritore e la strega?
«Di solito i guaritori avevano un ruolo in qualche modo riconosciuto dalle comunità. Però il distinguo tra magia bianca e nera è molto labile, anche perché chi è capace di estinguere un maleficio probabilmente è capace anche di attivarlo… Alla base c’è l’idea che il sentimento dell’invidia possa di per sé bastare per far scaturire un maleficio. Il malocchio, in fondo, è semplicemente “l’occhio cattivo” di chi ti guarda con rancore. Può bastare, non è sempre necessario il passaggio attraverso un rito».
Anche per questo immagino che la credenza nella stregoneria sia più dura a morire rispetto al resto del credito comunemente accordato al mondo soprannaturale…
«È durissima a morire, così dura che probabilmente non è ancora morta (ride, nda). Ha peraltro avuto implicazioni psico-sociali fortissime. Nelle società del passato, quella romagnola inclusa, l’idea che anche un vicino di casa potesse rappresentare un pericolo se ti malediceva era diffusissima e aveva un certo ruolo nell’immaginario quotidiano. Il mondo contadino aveva encomiabili forme di solidarietà ma era anche, fondamentalmente, una società del sospetto».
Di streghe si è sempre parlato molto anche proposito del più generale quadro della storia delle donne. C’è stato un eccesso narrativo in questo?
«Senza dubbio la caccia alle streghe colpì soprattutto le donne, però l’evoluzione della condizione femminile è stata segnata anche da tante altre cose, quindi la stregoneria ha avuto un rilievo oggettivo ma non le attribuirei un ruolo troppo cruciale in una narrazione così ampia. Tra l’altro che fossero tutte donne è un luogo comune: vennero processati anche uomini, ma era certamente più raro. Capitava quasi sempre alle donne di venire accusate di stregoneria perché nella divisione culturale dei ruoli che ha segnato la gran parte della nostra storia sociale chi si occupava dei “fatti di natura” era la donna: la donna partorisce, accudisce i cadaveri, fa la levatrice nei parti; le erbarie, le ostetriche, le guaritrici del popolo erano sempre donne, spesso emarginate e povere. In questo senso la componente sociale è indubbia e di sicuro, specialmente nei casi in cui ad accanirsi contro le streghe furono la Chiesa e il potere civile, la misoginia di fondo era evidente e conclamata».
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