Elena Bucci tra la ripresa del teatro, il legame con Russi e il lavoro con Malkovich e al cinema

Romagna | 14 Maggio 2021 Cultura
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Federico Savini
«Non dobbiamo abituarci alla bruttezza, alla paura e alla chiusura. La difficoltà di questi mesi ha avuto aspetti positivi, si è vista una coesione nuova in tanti contesti, ma il rischio è quello di smettere di sentire ilò bisogno delle relazioni umane. Ora dobbiamo ritrovare lo slancio verso la bellezza profonda». Trova sempre il modo di rifuggire dalla banalità Elena Bucci, non a caso attrice tra le più importanti non solo del nostro territorio ma dell’intero scenario teatrale tricolore (e non dimentichiamo che è anche regista e autrice), che si ritrova a vivere un periodo di attività decisamente febbrile. Non solo data la «stasi» che abbiamo alle spalle, ma anche per i suoi standard, che già normalmente non scherzano. «Nei giorni scorsi sono stata protagonista di un video del progetto “Emersioni” di Federica Fracassi - racconta Elena -. In pratica sono incontri fra attrici di età e bagagli esperienziali diversi, molto ben selezionate da Federica per approfondire le esistenze di chi lavora nel teatro. È un ottimo esempio di progetto nato durante la chiusura dei teatri ma che ha tutte le carte in regola per “restare”. Spero che si continuino a fare cose del genere».
Fino a domenica 16 sarai ogni sera, alle 18, alla sala Corelli dell’Alighieri per la rassegna «Polis» con «Di terra e d’oro». Un bel segnale di ripartenza…
«Sì, anche perché Di terra e d’oro è più uno studio che uno spettacolo, è qualcosa che cresce nel tempo. Volevo proporlo io ai curatori di Polis, Agata Tomšič e Davide Sacco, ma sono stati loro a chiedermelo, c’è stat una convergenza. Nacque qualche anno fa come lettura teatrale commissionata da RadioTre sul tema del lavoro. Tema che si è rivelato subito enorme, per questo Di terra e d’oro cresce costantemente. Dai mutamenti del lavoro alla specifica situazione degli operatori dello spettacolo fino alla riemersione di ricordi legati al mondo della mia infanzia questo tema si presta a sviluppi sterminati. Di fatto nasce da una serie di ritratti umani, nei quali il lavoro dell’attrice porta ad immedesimarsi; intendo proprio con destini e con vite che non sono le mie. Questo progetto mi ha fatto recuperare tante memorie che credevo di aver rimosso. Sul palco con me ci sono il musicisti Dimitri Sillato e il curatore del suono Raffaele Bassetti».
Finalmente il teatro riparte, ma qual è la situazione degli artisti?
«Vedo grande coesione fra di noi e un buon tentativo di dialogo con le istituzioni, che in passato non c’era mai stato e se ne sentiva il bisogno. In sostanza il rapporto e il disciplinamento delle arti che vige in Italia andrebbe aggiornato nel quadro europeo, che prevede principalmente la possibilità di lavorare con maggiore continuità. La crisi di questi mesi se non altro porterà a una ridiscussione generale dei termini del lavoro artistico e sarà senz’altro una cosa utile. Spiace che in questo quadro le maggiori difficoltà le affrontino sempre i teatri e le rassegne piccole e coraggiose, vedi proprio “Polis”, che va solo lodata per il suo coraggio. Ben venga che i teatri nazionali siano sostenuti, ma dobbiamo mantenere anche il tessuto dei teatri piccoli. Siamo fatti anche di questa ricchezza; per usare un termine abusato parlerei di “biodiversità teatrale”, che dobbiamo tutelare. Allargando lo spettro del ragionamento, abbiamo sposato un’economia accentratrice, ma l’infelicità e l’insoddisfazione che viviamo ci spingono a riconsiderare altri modelli, a rallentare ed essere più saggi nei confronti dell’ambiente e del lavoro. Non è nostalgia, ma la semplice considerazione della “compatibilità” fra le nostre scelte e le circostanze che caratterizzano il nostro panorama, il contesto in cui viviamo».
Con Le Belle Bandiere state lavorando al ventennale della riapertura del teatro di Russia, anche attraverso la divulgazione del vostro archivio.
«C’era già un programma concordato col Comune, ma che poi ha subito gli inevitabili slittamenti, anche lo spettacolo Risate di gioia, che racconta anch’esso di vite di attori che si dimenticano troppo facilmente, era previsto al Comunale il 23 aprile ma lo faremo per la prima volta a Napoli nelle prossime settimane. Un’altra iniziativa progettata a Russi e a cui stiamo lavorando è un esperimento di teatro estemporaneo dalle finestre della città, con ricordi, racconti e il coinvolgimento di attori amici. In autunno vorremmo organizzate proiezioni pubbliche di documentari che abbiamo realizzato sulla nostra attività negli anni, anche per farla conoscere a chi per ragioni anagrafiche non può saperne nulla. Anche qui non è la nostalgia a muoverci ma la condivisione di un entusiasmo che ancora ribolle. Stiamo progettando anche due serate dantesche a San Giacomo, per interrogarci anche scherzosamente sul nostro rapporto con i classici».
Al Ravenna Festival?
«Sarò diretta da Chiara Muti in Lumina in tenebris, ancora su tema dantesco ma in una chiave particolare, quella cioè dei poeti che hanno ispirato Dante e quelli che si sono ispirati a lui. La classicità custodisce straordinari viaggi agli Inferi e vorremmo omaggiare non tanto il Sommo quanto la trasmissione della poesia attraverso i secoli, ricucendo idealmente un patrimonio immenso. Di dante poi mi piace ricordare il suo anticonformismo, è un classico, certo, ma fa un guerrigliero, un autodidatta ribelle».
Poi c’è l’Inferno con Malkovich, di cui hai curato la drammaturgia e che però è stato rimandato…
«Sì, è stata una scelta di John Malkovich e si cercherà di fare lo spettacolo nelle migliori condizioni possibili, che ancora non sono garantite. Per me è stata l’occasione di conoscere il rapporto che hanno gli anglosassoni con Dante, cercando di attraversare tutto l’Inferno in uno spettacolo di un’ora, che per un italiano sarebbe inconcepibile. Per me si è trattato di scrivere un autentico “melologo”, visto che la musica è centrale nel progetto. Per questo mi sono confrontata a lungo, a Londra, con il compositore Gabriel Prokofiev, nipote del celebre Sergei, che appunto si è posto questo ambizioso obiettivo drammaturgico».
Il 20 maggio uscirà in sala il film Il cattivo poeta, con Castellitto nel ruolo di D’Annunzio e appunto Elena Bucci in quello di Luisa Baccara. Che esperienza è stata?
«Meravigliosa, e non lo dico tanto per dire, visto che in pratica abbiamo vissuto al Vittoriale e siccome era gennaio, lontano quindi dalla stagione turistica, avevamo un ristorante tutto per noi! Poi conoscevo gran parte degli attori e quindi si respirava un bel clima da compagnia teatrale. La cosa più interessante era che, recitando al Vittoriale, alcune persone che l’avevano conosciuta mi trattavano davvero come se fossi Luisa Baccara! La sua, tra l’altro, è una storia fortissima. A 26 anni era una bravissima pianista ma seguì D’Annunzio a Fiume, finendo poi per occuparsi del Vittoriale mentre da lui sopportava di tutto. E dopo la morte di D’Annunzio, lei venne letteralmente buttata fuori di casa. E non alzò la voce, tornandosene dal padre e accettando il suo destino. Sono vite incredibili, meritano di essere raccontate».
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