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Dürer alle Cappuccine a Bagnacavallo con 120 opere grafiche dal 21 settembre

Romagna | 21 Settembre 2019 Cultura
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Sandro Bassi
Bagnacavallo prosegue e anzi rilancia. Dopo i «grandi» degli ultimi tre anni – Chagall, Goya, Klinger – stavolta c’è Albrecht Dürer, nientemeno. La mostra sul sublime artista tedesco al Museo delle Cappuccine inaugura sabato 21 alle 17.30, resterà fino al 19 gennaio e promette di richiamare ancor più gente della già tantissima accorsa per le tre precedenti. Certo, è straordinario ma non deve stupire più di tanto: con la sua tradizione e la sua esperienza nel campo delle stampe, Bagnacavallo è ormai un centro di prim’ordine, non una cittadina di provincia.
Ma veniamo alla mostra, curata dal responsabile delle Cappuccine, Diego Galizzi, assieme a Patrizia Foglia. 120 opere, da prestiti privati e pubblici, riempiono cinque ambienti del museo civico. Si tratta di xilografie (stampe da matrici in legno), bulini (stampe da matrici in rame incise meccanicamente), acqueforti (idem ma l’incisione non è fisico-meccanica bensì con l’ausilio di acidi), puntesecche (una sorta di via di mezzo fra le ultime due). Raffigurato è il mondo visionario, inquietante, a tratti raffinatissimo e perfetto, a tratti belluino, di uno dei maggiori padri nobili dell’arte incisoria, anzi, di colui che per primo la innalza (oggi, ahinoi, diremmo la «sdogana») ad espressione autonoma e libera, non più ancella della pittura.
«La mostra è concepita come un racconto – spiega Diego Galizzi – articolato per temi e, nei limiti del possibile, in maniera cronologica, a partire dagli esordi degli anni ’80 del Quattrocento, con Durer ragazzo di bottega che si cimenta con le xilografie della «Cronaca di Norimberga», un incunabolo di cui in mostra sono presenti fogli sciolti e, da fine ottobre in poi, anche un esemplare intero. Poi si passa ai grandi capolavori: il ciclo dell’Apocalisse, il Sant’Eustachio, il San Girolamo nello studio, il Rinoceronte, il Cavaliere la morte e il diavolo, per arrivare a quel vertice enigmatico che è la Melanconia, opera intrisa di intellettualismo fin quasi all’esoterismo e che è una specie di manifesto spirituale della coscienza di Dürer, consapevole che l’approccio razionale all’arte e al mondo non può che dare risposte insufficienti. Il fatto è che il grande maestro di Norimberga risulta davvero polimorfo e bifronte, con i piedi ben radicati nella grande tradizione artigianale della Germania medievale e la mente invece aperta sul glorioso Rinascimento italiano».
E allora si vedranno cavalli leonardeschi, suggestioni belliniane, ma anche da Carpaccio, Giorgione, Lotto. Dürer venne due volte in Italia, a Venezia (oltre a Mantova, Padova e forse Pavia) e a Bologna (dopo esser passato ancora una volta da Venezia e da Padova e forse da Firenze) per studiare i grandi del Rinascimento e carpirne i segreti, ma lasciando in loco anche qualcosa di sé perché assieme alle tangenze con i maestri italiani c’è ovviamente anche una dimensione personale originalissima.
A latere, ma assolutamente pertinente, a partire dal 14 dicembre verrà esposta la Madonna del Patrocinio, piccolo (48 cm x 36) ma monumentale dipinto su tavola eccezionalmente prestato dalla Fondazione Magnani Rocca (Re) che lo possiede fin dal 1969. Si tratta di una clamorosa restituzione, sia pur temporanea, perché Luigi Magnani lo comprò dalle Cappuccine di Bagnacavallo pochi mesi prima della chiusura del convento: ivi l’aveva scoperto, nel ’61, un indimenticato faentino, Antonio Savioli, che oltre che prete era architetto e storico dell’arte. La Madonna di Durer è raffigurata come una gentildonna nordica dalla cuffia bianca e dai capelli ramati, con in mano un Bambino finalmente bellissimo (fino ad allora i Bambini Gesù erano come anziani rimpiccioliti) che tiene in mano un rametto di fragola. Don Savioli segnalò il ritrovamento al grande Roberto Longhi - che confermò l’attribuzione e scrisse un memorabile articolo subito dopo essersi recato di persona a Bagnacavallo – e chiese alle Cappuccine di scandagliare l’archivio per scoprire la provenienza del dipinto; appurò così che l’aveva portato nel 1822 una monaca da un soppresso convento francescano di Cotignola.
Più indietro non si va, ma da tempo Diego Galizzi svolge ricerche in merito e i risultati verranno resi noti in un apposito catalogo nonché in conferenze già previste proprio per far luce su un intrigante capolavoro che per le sue vicende (era rimasto ignoto fino al 1961 per via dell’ubicazione in un luogo di stretta clausura) e per la sua paternità ha fatto nascere anche numerose «leggende».

Inaugurazione sabato 21 settembre ore 17.30 con concerto nel chiostro e aperitivo. Aperto 15-18 (mar. e mer.), 10-12 e 15-18 (gio.), 10-12 e 15-19 (ven. sab. e festivi). Aperture straordinarie fino alle 23.30 dal 26 al 29 settembre. Entrata libera.
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