Discoteche, Indino del Silb: «Molti hanno già chiuso, ripartiamo ma con certezze»
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Federico Savini
«Che la proroga alle chiusure imposte dal decreto Festività sia breve, di soli 10 giorni e con la possibilità di riaprire a San Valentino, lo prendiamo naturalmente come una buona notizia, però a noi servono soprattutto certezze di medio-lungo periodo. Il lavoro si programma: il personale, le serate e tutta l’organizzazione necessitano di stabilità. E il continuo apri e chiudi rende impossibile lavorare». Gianni Indino, presidente del Silb di Rimini, è uno dei più attivi portavoce del «mondo della notte», che in questi giorni sta per ripartire. Quello delle discoteche è, notoriamente, un settore fra i più colpiti in assoluto dalle chiusure imposte dall’emergenza pandemica, e anche l’arrivo del vaccino - fondamentale per permettere riaperture in altri settori della pubblica attività - non ha comportato grandi novità per quelli che una volta chiamavamo «tempi del divertimento», specie con l’incremento dei contagi dovuto a Omicron e la dolorosa stretta natalizia. Che alle discoteche ha portato via uno dei periodi più floridi per le casse, oltretutto con l’estensione della chiusura a tutto gennaio e la comunicazione della proroga di 10 giorni arrivata a dir poco in zona Cesarini.
«Ribadisco che nell’accogliere positivamente la riapertura che ci sarà a breve - precisa Indino -, torno a sollevare l’esigenza della pianificazione, perché anche una comunicazione più puntuale della stessa data della ripartenza ci avrebbe aiutato a lavorare meglio, a gestire la programmazione artistica, le maestranze e anche la parte della ristorazione dei locali».
Cosa vi preoccupa di più adesso?
«Che dopo il 10 febbraio si riparta per magari bloccare di nuovo tutto un mese dopo. Andiamo avanti a fisarmonica da troppo tempo».
In questo biennio, quanti locali hanno chiuso in regione?
«Una quarantina, tra il 10 e il 12%. Loclai che non solo hanno chiuso, ma sappiamo che non riapriranno. Le spese ci stanno strangolando e l’aumento dei costi energetici è solo una delle voce problematiche, basti pensare che l’affitto medio di una discoteca si aggira sugli 8-10mila euro al mese. E questi sono dati emiliano-romagnoli, ma in linea anche con Liguria e Lombardia. Calcoliamo tra i 20 e i 35mila euro di spese fisse per una discoteca, anche chiusa, perché all’affitto si sommano le utenze, la manutenzione, le assicurazioni, le tasse, il commercialista e quella parte di personale che continui a stipendiare, perché non puoi lasciare tutti a casa e poi ripartire, al primo schiocco di dita, senza collaboratori».
Chi va avanti come fa? Immagino anche attraverso mutui e accordi con i proprietari delle strutture…
«Certamente ci si accorda con i proprietari, anche perché una discoteca funziona per un certo tipo di attività, e non altri. Ci sono titolari che hanno sottoscritto ipoteche pesanti, chi si rivolge alle banche ma in questo settore oggi è difficile essere solvibili».
I ristori a quanto ammontano?
«Non sono ma stati ingenti e per il decreto Festività subito si era parlato di 10mila euro, ma probabilmente saranno meno, intorno ai 6mila. Si tenga conto che, perdendo il periodo del Capodanno, un locale si gioca un quarto del fatturato annuale. In due anni ci sono realtà che hanno messo insieme un ammanco da centinaia di migliaia di euro. In altri Paesi europei i ristori sono maggiori e i locali hanno già aperto».
Come mai questa differenza?
«In Italia manca il coraggio. Non parlo solo della politica, perché la paura sta attanagliando troppo i cittadini. Vale anche per i negozi, che pure restano aperti, ma gli introiti sconfortanti ci dicono che la gente non investe sul domani, ha paura».
Voi cosa proporreste al Governo?
«Di proposte ne abbiamo fatte a più riprese. Siamo sempre stati più che disponibili ad adeguarci alle necessarie misure di sicurezza. Il fatto è che nei tavoli della concertazione non veniamo convocati. C’è proprio scarsa conoscenza del nostro settore nelle sedi decisionali e noi saremmo in grado di dare consigli utili a tutti. Probabilmente anche al Governo».