Da Ravenna a Faenza, i patrimoni «da esportazione» dei nostri musei

Federico Savini
Un paio di mesi fa, la biblioteca Classense di Ravenna ha fatto sapere di avere spedito in California il «manoscritto classense n. 143», un volume pergamenaceo della seconda metà del XV secolo, contenente il Canzoniere e i Trionfi di Petrarca e illustrato niente meno che da Botticelli. Questo manoscritto è in mostra, in questi giorni, ai Legion of Honor-Fine Arts Museums di San Francisco, all’interno dell’esposizione «Botticelli drawings», e la determinazione della paternità botticelliana (dunque, non di un suo allievo) della pagina del Trionfo d’Amore, si deve anche all’interesse suscitato da un’opera che prima che a San Francisco aveva già «viaggiato» in quel di Tokyo (2026) e Parigi (2020), sempre all’interno di importanti mostre.
Questa vicenda racconta per lo meno due cose. In primis che i musei e gli archivi della provincia di Ravenna conservano gemme assolute della storia dell’arte, una cosa che in teoria è risaputa ma poi quanto davvero «valgano» queste opere lo si misura anche con questo genere di attività e interesse «esterno» nei confronti del nostro patrimonio. E ci dice anche come la circolazione delle opere faccia bene in primis alla visibilità dei nostri musei ed enti culturali, e non di rado aiuti le stesse opere ad essere valorizzate e meglio studiate. Una questione che, in un Paese come l’Italia che ha il paradossale «problema» di aver difficoltà a monitorare la quantità di capolavori di cui dispone, capite bene quale importanza (anche economica) può avere.
Per questo motivo abbozziamo un viaggio all’interno delle nostre principali istituzioni culturali per dare l’idea di quale sia il circuito dell’arte che coinvolge il nostro territorio e approfondire un tema affascinante e complesso, anche perché è bene dire subito che non sempre la quantità di prestiti è un misuratore affidabile del valore di un patrimonio artistico, poiché le opere e le condizioni di prestito non sono tutte uguali: differiscono per valore, per trasportabilità, per opportunità e tanto altro. Ma questo non fa che rendere più interessante l’intera questione.
MIC (FAENZA)
Il museo del nostro territorio che vanta l’attività più intensa in fatto di prestiti sia nazionale che internazionali è di gran lunga il Mic di Faenza, forte di un vastissimo patrimonio di opere, spesso (non sempre) relativamente semplici da prestare e caratterizzate anche dalla peculiarissima tematicità e completezza del museo sul fronte della ceramica. Tutte caratteristiche a cui si aggiungono la professionalità degli operatori, l’attenzione al tema (cruciale oggi) della visibilità e dunque anche la scelta precisa di investire molto su questo versante.
Solo nell’ultimo paio d’anni il Mic ha ad esempio prestato una trentina di opere al Museo della Civiltà Islamica a Sharjah negli Emirati Arabi Uniti, 7 alla mostra su Calileo Chini a Firenze, 12 a un’esposizione sul futuro della ceramica a Selb, in Germania, 5 a Gorizia per la mostra «Italia Cinquanta», un importante piatto iraniano al Mao di Torino, ma si tratta di semplici esempi, perché i numeri generali del museo faentino sono notevoli: nel 2018 parliamo di circa 200 opere prestate a mostre e musei italiani e stranieri, nel 2019 circa 170, nel 2020 solo 24 ma è stato l’anno della pandemia, mentre il 2021 ha già visto il dato rialzarsi fino a una settantina, il 2023 una trentina, come l’anno appena terminato.
MAR (RAVENNA)
Il più recente prestito del Mar è l’opera Cristo crocifisso della scuola di Marcello Venusti per la mostra «El Greco» presso Palazzo Reale di Milano, un ente culturale con il quale il Mar lavora spesso, come spiega la conservatrice Giorgia Salerno: «Tra le numerose valutazioni che stanno a monte della scelta di fare un prestito - spiega - c’è naturalmente anche quella che analizza la serietà del committente e la pertinenza della mostra di destinazione. Tipicamente, nell’arco di anno e in condizioni normali, quindi non pandemiche, riceviamo una decina di proposte di prestito, che non sempre vanno in porto. Si fanno numerose valutazioni, sempre vagliate dalla Sovrintendenza, dalla possibilità tecnica di viaggiare delle opere, che possono ad esempio essere molto ingombranti, fino all’opportunità di prestarle, e poi valutazioni di merito sulla visibilità, la contestualizzazione, gli eventuali rischi per l’integrità dell’opera e così via. Il prestito rimane uno scambio, quindi a volte si presta un’opera anche perché questo permette ad esempio di restaurarla, per un ente pubblico come il nostro è una logica operativa assolutamente centrale del lavoro. Dietro ad ogni prestito, insomma, c’è un preciso lavoro scientifico. Quanto poi si lavora sul territorio, ad esempio con musei di Lugo o Bagnacavallo, capita spesso che l’opzione migliore sia quella di rendere le mostre «diffuse», cioè su più sedi legate insieme da una sola direzione artistica. Questo ci permette di risparmiare sui trasporti e di valorizzare gli stessi musei che prendono parte alla mostra. Con l’estero lavoriamo meno che con l’Italia, ma è capitato per Guercino e Vasari, che sono le “punte” della nostra collezione. Con Palazzo Reale collaboriamo molto, ma anche con Trento, Trieste e Rovereto, dove di recente abbiamo prestato un’opera di Klimt mentre ad esempio lavori di Barbara Longhi ci sono stati richiesti per iniziative dedicate all’arte femminile».
prosegue con gli altri musei sul numero 2 di Setteserequi del 2024, in edicola da venerdì 19 gennaio