Cure palliative, nel 2023 in provincia di Ravenna presi in carico 1200 pazienti, in futuro più servizi a domicilio

Romagna | 16 Marzo 2024 Cronaca
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Anche quest’anno non diminuirà l’impegno della Regione per le cure palliative, nate un trentennio fa in Inghilterra e cura multidisciplinare per i pazienti affetti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza. Nel 2022, ultimo dato disponibile, sono state oltre 16 mila le persone prese in carico in tutta l’Emilia Romagna che dispone di oltre 300 posti letto per l’offerta residenziale in 23 strutture differenti, un numero in crescita se consideriamo che erano state poco meno di 12 mila nel 2018. In aumento anche le risorse spese: oltre 44 milioni di euro nel 2022 contro i quasi 28 milioni del 2018. Abbiamo fatto il punto sulla situazione in provincia con il dottor Luigi Montanari, direttore della Rete di cure palliative di Ravenna e Hospice di Lugo e Faenza. La nostra è una delle prime regioni per strutture e posti letto dedicati alle cure palliative. Come sono cambiati, negli anni, i servizi di Ausl Romagna? «L’accesso alle cure palliative in Italia è un diritto per ogni cittadino. Nel 2001 a Lugo, Forlì e Savignano sul Rubicone sono nati i primi tre hospice in regione. A marzo 2010 è stata votata la legge 38 che stabiliva che in Italia diventava un LEA (livelli essenziali di assistenza ndr) la rete delle cure palliative che si distingue dalla rete del dolore e da quella delle cure palliative pediatriche. Nel 2012, poi, è iniziata la presa in carico di pazienti anche non oncologici, ammalati cronici affetti da altre molteplici patologie del sistema nervoso centrale, dell’apparato cardiovascolare e respiratorio: nell’ultimo triennio, in provincia abbiamo preso in carico ogni anno 1200 pazienti di cui 700 nei tre hospice. Ad oggi, in regione ci sono 7 posti letto per 100 mila abitanti, disponibilità che potrebbe essere migliorata, così come andrebbero ridefiniti gli standard previsti per ogni regione per le cure palliative stilati ormai 20 anni fa. Oggi le cure palliative sono diventate una rete complessa che consta di 4 moduli: il ricovero in hospice (in provincia ce ne sono 3, a Ravenna, Faenza e Lugo per 389 posti letto totali ndr) , l’assistenza domiciliare, quella ambulatoriale e quella ospedaliera. In regione c’è bisogno di migliorare l’assistenza domiciliare e con gli altri medici palliativisti scriveremo il percorso del potenziamento per poter attingere ai fondi stanziati dalle ultime due leggi di stabilità per le cure territoriali tra cui rientrano le cure palliative. Gli hospice regionali hanno un alto livello di professionalità, mentre siamo più carenti nell’assistenza domiciliare ed ambulatoriale che andrebbe potenziata perché questa tipologia di cura non va delegata ad una struttura di ricovero. Con i colleghi direttori della rete delle cure palliative romagnole pensiamo sia importante che il malato resti il più possibile al proprio domicilio. A questo proposito, il mese scorso a Ravenna è partita una sperimentazione di 6 mesi che dà la possibilità al paziente seguito da un gruppo specialistico di cure palliative di utilizzare farmacia ospedalieri a domicilio. Dopo questo periodo di prova la possibilità dovrebbe essere estesa a tutta la Romagna. Ad oggi prendiamo in carico il 60% dei pazienti oncologici con un percorso molto preciso che ancora manca per i tanti altri pazienti, con demenze, scompenso cardiaco, bronchite cronica grave, neurologici che avrebbero bisogno di cure palliative. Obiettivo che il Ministero della salute ha dato alle regioni è quello di raggiungere, entro il 2028, la presa in carico del 90% dei pazienti che necessitano di queste cure. Un traguardo ambizioso che penso possa essere raggiunto se sfruttiamo i finanziamenti messi a disposizione delle regioni». Nella medicina moderna che ruolo giocano le cure palliative e perché sono sempre più importanti? «Perché sono una disciplina scientifica. Sono stati avviati corsi universitari e ciò significa che le cure palliative hanno un ruolo fondamentale nella storia della medicina moderna. E perché attraverso gruppi multidisciplinari composti da più medici tra cui i palliativisti è possibile dare un giudizio sull’appropriatezza delle cure, anche in pazienti molto compromessi. Il lavoro in team nella presa in carico di un paziente porta ad un assoluto miglioramento nelle sue condizioni. Ovviamente, però, l’equipe dev’essere formata: la prossima settimana in Romagna prenderà il via un nuovo corso di aggiornamento per gli operatori delle cure palliative». In Regione si sta dibattendo sul fine vita, eppure tanti studiosi hanno dimostrato che dove è presente una rete di cure palliative strutturata correttamente le richieste di suicidio assistito calano moltissimo. Cosa ne pensa? «Proprio il mese scorso la giunta regionale ha dichiarato che gli hospice sono una struttura d’accoglienza che ha come obiettivo offrire le migliori cure palliative ai pazienti e non serve ad ospitare il suicidio assistito. Le cure palliative, infatti, sono state programmate e studiate per la cura delle persone inguaribili, non riguardano il rifiuto della vita. Uno studio delle università di Bologna e Padova su diverse nazioni dell’Occidente in cui le cure palliative sono state implementate e dove è stato semplificato l’accesso al sistema, ha dimostrato che lì la richiesta di suicidio assistito diminuisce di dieci volte. Come gli altri medici palliativisti credo che prima di chiedere di organizzare programmi per il suicidio assistito sia fondamentale che il SSn dia al cittadino la possibilità di accedere alle cure palliative e di essere preso in carico dall’intero team composto da medici, infermieri, psicologi e magari anche oss e fisioterapisti. Come già detto, le cure palliative sono un diritto del cittadino e non un antidoto al suicidio assistito». (marianna carnoli)
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