Cristopher Angiolini dell’Hana-bi annulla Beaches Brew ed è scettico sugli eventi «distanziati» e le regole incerte

Romagna | 24 Maggio 2020 Cultura
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Federico Savini
«Che la salute pubblica stia al primo posto è giusto. E’ il buon senso, purtroppo, quello che non vince mai. Questo virus e la crisi che ne consegue hanno mostrato la fragilità del nostro sistema. Sono scettico sulle riaperture, sono necessarie per molte attività allo scopo di non chiudere, per tamponare un problema che lo Stato non riesce a colmare con le sue risorse, ma questo comporta rischi. E non vedo un progetto chiaro per ripartire, specie per un privato, mentre eventi con sostegno pubblico e conseguenti possibilità di investire in sicurezza potrebbero fare da concreti apripista per il settore. La situazione va, insomma, monitorata con cautela». I piedi di piombo probabilmente li aveva anche prima, ma oggi è praticamente (e lucidamente) costretto a muoversi a piccoli passi Christopher Angiolini, imprenditore ravennate che si è trovato ad essere al centro di molte questioni in questi mesi - leggi: convocato in diversi tavoli di settore e in continua oscillazione tra i promoter internazionali della musica dal vivo e le associazioni di categoria locali degli esercenti - perché gestendo insieme al Bronson e al Fargo uno stabilimento balneare come l’Hana-bi, che permette a Marina di Ravenna di «esistere» sulle mappe internazionali della musica dal vivo, si ritrova in un ruolo «trasversale» molto importante nella nostra provincia. Più un onere che un onore, probabilmente, dato che la prima notizia - decisamente nell’aria - è la cancellazione del festival Beaches Brew, sulla spiaggia a inizio giugno, che arriva beffardamente insieme all’annuncio del premier Conte sulla possibilità di riprendere gli eventi culturali dal 15 giugno. «All’inizio dell’emergenza c’erano speranze su Beaches Brew - spiega Christopher - perché si pensava che a giugno sarebbe tornata la normalità. Ma il 25 marzo è diventato chiaro che ogni impegno pregresso sarebbe stato rimandato a data da destinarsi. Fino a pochi giorni fa, tecnicamente non c’era nulla che mi impedisse di fare un concerto il 18 maggio, poi è arrivata, abbastanza a sorpresa, la data del 15 giugno. In generale i decreti si rincorrono e arrivano sempre all’ultimo».
Annullare un festival cosa comporta?
«Per la sua dimensione internazionale, Beaches Brew costa relativamente poco (è nato sull’intuizione di coinvolgere artisti già in cartellone all’enorme Primavera Sound di Barcellona, nda), ma essendo a ingresso gratuito anche gli utili sono ridotti. Sono persi del tutto i mesi di lavoro per costruirlo».
Si farà in autunno?
«In questo momento sono libero da impegni pregressi e non prendo nuovi accordi, neanche per il Bronson. Lo stop del 24 febbraio ha portato tutti a riprogrammare marzo su aprile, poi aprile su ottobre e adesso tutto si rimette in discussione. In concreto rispondo a molte chiamate, prendo appunti ma non faccio contratti».
I decreti si rincorrono perché da una parte c’è un problema di complessità inedita e viene quindi richiesto agli operatori di andare «a intuito», ma questo pesa parecchio sulle imprese dello spettacolo. Cosa non si coglie delle vostre difficoltà?
«Ti faccio un esempio: non essendoci un decreto che tecnicamente annulla ogni spettacolo per un periodo veramente lungo, può capitare che nel momento in cui io, gestore di un locale, contatto il manager di un artista per annullare il concerto, questo può anche appellarsi al fatto che non c’è la “forza maggiore”, in assenza di decreto. Per fortuna capita in non più di un 20% dei casi…».
Il decreto «Rilancio» prevede qualcosa per gli stabilimenti balneari?
«Prevede i benefici a cui hanno diritto le piccole imprese, come l’annullamento della prima rata Imu, ad esempio, e poi ci sono i 600 euro per chi ha versato almeno 7 giornate nel 2019. E’ del pubblico spettacolo che si parla sempre poco. Questo decreto presenta risorse imponenti ma non mi pare progetti alcun rilancio o intervento strutturale. Vengono tamponati dei buchi scoperti e si punta a sopravvivere, non a ri-pianificare».
Mancano i protocolli?
«Per lo spettacolo sono attesi a giorni, circolano informazioni ancora sommarie e ci siamo abituati a veder cambiare le regole in modo repentino. Sono noti i limiti delle mille persone all’aperto e delle 200 al chiuso ed è presumibile che tutto andrà fatto con distanziamento, mascherine, scanner della temperatura, ingresso scaglionato e così via. Per 200 posti occorre un locale enorme e le misure sui posti si erano fatte più stringenti già dopo la tragedia di Corinaldo. Se dico che per fare mille persone serve un’area come il Campovolo, beh, forse non è una battuta… Per la ristorazione in spiaggia i protocolli invece ci sono, ma parliamo di trenta pagine di buone intenzioni, senza vere regole. Pareva che il 18 maggio aprisse ogni cosa, poi son dovuti intervenire Bonaccini e Corsini, in regione, ad annunciare che spiagge avrebbero dovuto attendere il 25 del mese».
Fargo e Bronson Cafè riaprono?
«Sì, in questi giorni e a orario ridotto. Monitoreremo l’evolvere della situazione, perché se la Fase 2 porterà a una nuova crescita del contagio poi si dovranno chiudere le serrande di nuovo e la cosa non sarebbe indolore. Le aziende non si accendono e spengono come un interruttore».
Hai molti contatti esteri. Ci sono differenze rilevanti rispetto all’Italia?
«Dai noi la navigazione è a vista di due settimane, mentre in tanti Paesi sullo spettacolo c’è stata chiarezza e nettezza sulle chiusure di lungo periodo. La differenza maggiore è economica: da noi il sostegno dello Stato fatica ad arrivare 600 euro, mentre in Germania so di persone che ne hanno avuti 5mila in 22 ore, e sto parlando in generale di “lavoratori della musica”, anche tipologie che in Italia non vengono riconosciute».
E sulla regolamentazione dei locali?
«Girano articoli che raccontano delle “5 fasi” pianificate dal Benelux per la riapertura dei locali, ma diversi miei colleghi di quelle zone mi dicono che non è nulla di miracoloso, anzi. Per capirci, il primo step prevede 30 persone in tutto il club, compresi l’artista e lo staff… Diciamo che, al massimo, sono più avanti di noi nell’elaborazione del problema, ma a simili condizioni l’unica cosa da fare, nel nostro settore, è auspicare il ritorno alla normalità».
La necessità del distanziamento cozza fragorosamente con la sostenibilità dei club, che si regge su numeri e marginalità ridotte. Come vedi le possibili misure per la riapertura?
«Un concerto “distanziato” lo vedo come un esperimento, non come un progetto. Potrei farne alcuni per dare continuità all’attività, ma non lo vedo come un “metodo” per continuare a fare questo lavoro: ingressi contingentati, plexiglas sul palco, niente bar, problemi coi bagni, mi sembrano tutte cose poco applicabili e pure costose. Ha senso sperimentare in parchi, strutture e piazze attrezzate, e quindi con il coinvolgimento del Pubblico. Sulle possibilità di un privato sono scettico. E concedimi di uscire un attimo dalla logica economica: noi facciamo i concerti per la socialità, per il nutrimento dell’anima. Chiamiamo queste cose come ci pare, ma sono concrete, non meno della sostenibilità economica, perché un evento deve avere appeal e senza socialità ne perde molto».
E focalizzandoci cinicamente sulla sostenibilità?
«Già in condizioni normali la marginalità della ristorazione e degli eventi dal vivo è bassa, in pochi si arricchiscono. Supponiamo che la tua marginalità normale non superi il 15%; com’è possibile far quadrare i conti se puoi ospitare, ad essere ottimisti, il 60% del pubblico? Le misure del governo danno ossigeno in questa fase, ci sono ad esempio bandi a fondo perduto per la sanificazione e i dpi, ma in definitiva tutto porta comunque le imprese a indebitarsi, e con pochi anni di tempo per saldare questi debiti. Tra l’altro le banche, al momento, non hanno le procedure per i prestiti sopra i 25mila euro… Se a questo si aggiunge che la cassa integrazione stenta ad arrivare e molti annunci restano su carta, beh, il quadro è difficile. Al momento ci viene dato il bicchiere d’acqua per andare avanti altri 100 metri, ma è l’oasi che dobbiamo raggiungere».
Conseguenze di lungo periodo?
«Nel settore dei live i grandi operatori sono quelli che hanno risorse tali da potersi permettere di traslare il calendario avanti di un anno. Non so se la data del 15 giugno per loro cambi qualcosa, perché i costi saranno alti e rincarare il prezzo dei biglietti potrebbe non essere un’ottima idea. Ad ogni modo, i grandi operatori potrebbero essere i soli a sopravvivere, facendo man bassa di quello che si muove a un livello più underground. Potrebbe preludere a un problema di “biodiversità” della proposta concertistica complessiva. E vale anche per il turismo, perché se falliscono hotel e stabilimenti balneari della zona, al loro posto potrebbero arrivare realtà multinazionali. Chi lavora nel turismo, da queste parti, era abituato a considerare dannosa la pioggia in primavera, prova a rapportarlo a quel che ci aspetta quest’anno…».
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