Crisi Afghanistan, in provincia di Ravenna in arrivo 45 profughi
Samuele Staffa - Sono 45 i profughi afgani, tra gli ex collaboratori e i loro familiari, attesi nei prossimi giorni in provincia di Ravenna a seguito dell’operazione Aquila Omnia messa a punto dallo Stato maggiore della Difesa. «Ma, col passare del tempo, il numero potrebbe crescere» fanno sapere dalla Prefettura di Piazza del Popolo.
I funzionari dell’ufficio governativo stanno costruendo in queste ore la rete locale che ripartirà nel circuito dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) i richiedenti protezione internazionale trasportati da Kabul al Kuwait a bordo degli aerei C130J e poi trasferiti in Italia nella seconda metà di agosto. La prima tappa, dopo il tampone a Fiumicino, è il grande hub da circa 1300 posti allestito dalla Croce Rossa ad Avezzano, in provincia de L’Aquila. Poi, una volta scontata la quarantena dovuta alle norme anti Covid, arriveranno anche nella nostra provincia. «Li attendiamo a breve, ma non sappiamo ancora il giorno preciso in cui arriveranno i primi richiedenti protezione: tutto è legato alle norme sanitarie - spiegano i vertici della Prefettura -. Ma non saranno certamente i primi profughi provenienti dall’Afghanistan: altre persone partite prima della presa di Kabul sono state accolte sul nostro territorio. E probabilmente altre, dopo questa operazione militare, ne arriveranno nelle prossime settimane».
Dopo le dichiarazioni degli ultimi giorni, con cui sindaci e amministratori si sono detti pronti a dare ospitalità a chi scappa dall’inferno afgano, bisognerà passare ai fatti. Il meccanismo è quello già conosciuto dei Cas: potranno rivolgersi alla Prefettura gli enti locali, le associazioni e anche i singoli privati.
«Ma si tratta di percorsi complessi che stiamo costruendo proprio in queste ore e non sarebbe la prima volta che, dopo i proclami e le grandi manifestazioni di solidarietà, qualcuno si tiri indietro - sottolineano dalla Prefettura -. Alcuni cittadini si dicono pronti ad accogliere donne o minori, ma spesso si tratta di diplomatici, funzionari o ricercatori con famiglie piuttosto numerose. E oltre al vitto e all’alloggio, occorre mettere in piedi articolati percorsi di accoglienza, dall’assistenza sanitaria a quella burocratica necessaria al conseguimento dello status di rifugiato. Ci troviamo di fronte ad una situazione, dai numeri alle problematiche a cui occorre far fronte, diversa rispetto al passato: si tratta di un’importante operazione militare che va ad aggiungersi all’ormai consueto flusso di migranti che attraversano i Balcani ed il Mediterraneo».