«La medicina territoriale è sotto pressione e in fase di preallarme. Si tratta di una situazione inattesa: tutti confidavano che col caldo e la bella stagione vi fosse una minor circolazione del virus» spiega Stefano Falcinelli, presidente dell'ordine dei medici della provincia di Ravenna e medico di famiglia attivo a Ravenna.
Purtroppo, però, i contagi sono tornati a crescere e i sanitari, seppur sfiancati da anni di pandemia, non possono allentare la presa. «Da una parte vi è l'impegnativa gestione burocratica, fatta di certificati, isolamenti e richieste di tamponi. Dall'altra vi è l'attività clinica legata ad una malattia che, per fortuna, in questa fase sembra non particolarmente grave. Siamo di fronte a forme che interessano soprattutto le alte vie respiratorie e portano rinite, laringite con un mal di gola piuttosto significativo ed una febbre solitamente non troppo elevata. A questo si aggiungono malessere generale e spossatezza. Tuttavia, nei grandi numeri non si riscontrano quelle complicazioni alle basse vie respiratorie che hanno dato i principali problemi nella prima fase».
E' cambiato qualcosa, nell'atteggiamento dei pazienti, rispetto alle predenti ondate?
«Sicuramente. In primo luogo, veniamo da due anni e mezzo molto difficoltosi e le persone hanno bisogno di tornare a vivere, andare in vacanza e incontrare gli amici. Di conseguenza, si tende a 'mettere da parte' la malattia. Poi ci si è resi conto che le conseguenze sono meno gravi: la paura è diminuita e si tende spesso a minimizzare. In alcuni casi si arriva addirittura a non dichiarare la propria positività. Ma questo è un atteggiamento molto grave per due motivi. Primo, così si rischia di avere molte persone in circolazione che possono diffondere il virus. Secondo, questo complicherà la campagna vaccinale per la quarta dose, quando si dovrà differenziare tra chi non ha avuto la malattia (in questo caso il vaccino non potrà essere rimandato) e chi l'ha avuta (in questo caso la vaccinazione sarà procrastinabile)».
Cosa si può fare per migliorare la situazione?
«Visto che mancano i medici di base, sarebbe bene inserire nell'attività clinica i colleghi in formazione. Un tempo non lo era, ma oggi è possibile. Poi, su base volontaria, occorre chiedere ai medici la disponibilità ad aumentare il massimale dei pazienti assistiti (che salvo deroghe, è di 1500). Tuttavia, l'età media dei professionisti è piuttosto avanzata e non tutti si sono disponibili ad aumentare il carico di lavoro. Terzo, occorre fare in modo che i medici non scelgano di andare anticipatamente in pensione. Il limite massimo di permanenza al lavoro è di 70 anni, ma in molti casi è possibile andare in pensione a 68 senza penalizzazioni sull'indennità. Poi c'è la strada del pensionamento anticipato a 62 anni, in questo caso con importanti penalizzazioni sull'indennità. Molti medici, provati da duri anni di pandemia, hanno preferito questa strada».
I singoli cittadini possono fare qualcosa?
«Il nostro servizio sanitario è equo, solidale e universale e non può esser dato per scontato. Tutti dobbiamo difenderlo: gli amministratori, migliorando i servizi forniti; i medici, mettendo a disposizione le proprie competenze nel modo più opportuno; i cittadini, utilizzando questo strumento solo quando realmente necessario. Capita di vedere persone che si recano dal medico per problemi facilmente risolvibili con una semplice automedicazione».