Covid-19, Angelini, (dip. sanità pubblica): "A Ravenna si lavora incessamente ma la situazione è ancora gestibile"
![covid-19-angelini-dip.-sanit-pubblica-quota-ravenna-si-lavora-incessamente-ma-la-situazione--ancora-gestibilequot](/inc/scripts/crop.php?img=https://backoffice3.titanka.com/verticalizzazioni/4897/254/upload/1585130523_ss02angelini.jpg&w=420&h=248)
Silvia Manzani
«Il lavoro è intenso e ininterrotto, ci sono persone che dovrebbero lavorare 36 ore alla settimana ma ne lavorano il doppio. Per fortuna, però, la situazione è ancora gestibile. Non dico che sia sotto controllo ma ne riusciamo, per il momento, a definire i confini». Sono le parole di Raffaella Angelini, direttrice del Dipartimento di sanità pubblica dell’Asl Romagna, che plaude alla forza che in questo momento di criticità medici e infermieri stanno tirando fuori: «C’è una partecipazione importante e quasi commovente, abbiamo medici di diabetologia, oculistica e pediatria di comunità che si sono messi a disposizione quasi a titolo volontario per far funzionare meglio questa grande macchina che abbiamo messo in piedi». Una macchina che, per quanto riguarda l’Igiene pubblica, sta lavorando per rintracciare, ogni volta che una persona è positiva al Covid-19, i contatti avuti nelle ultime settimane: «In diversi casi, le persone che andiamo a contattare erano già in isolamento perché avevano frequentato persone che avevano contratto l’infezione nei giorni precedenti. Quando avviene, per loro l’isolamento domiciliare deve per forza di cose essere prolungato». Il fatto che, la maggior parte delle volte, i nuovi casi di malattia siano collegati a casi precedenti, a livelo epidemiologico per Angelini è confortante: «Non voglio minimizzare la cosa, per i nuovi che si ammalano il Coronavirus rappresenta per forza di cose un problema. Ma se guardiamo alla situazione generale, sembra che le disposizioni governative e l’isolamento stiano dando i loro frutti». Il lavoro «incessante», come lo definisce Angelini, ha anche a che fare con l’esecuzione dei tamponi a domicilio: «Abbiamo una squadra di persone che ogni mattina telefona alle persone messe sotto sorveglianza attiva e, in caso di sintomi, va a casa con tutte le protezioni del caso. Un lavoro che richiede molto tempo tra spostamenti, operazioni di vestizione e svestizione. Ma che quasi sempre ci consente, nel giro di 24 ore, di avere l’esito, tranne in giorni eccezionali: ne è capitato uno nel quale, in laboratorio, sono arrivati 75 campioni in contemporanea e la risposta ha richiesto più tempo». L’igiene pubblica, ovviamente, è in grado di avere sotto gli occhi i casi più lievi, quelli che non finiscono in ospedale: «Come abbiamo sempre più modo di osservare, la malattia si presenta in forme diverse. A volte esordisce con una febbre non alta che persiste per qualche giorno insieme a malessere, spossatezza, dolori articolari e muscolari e, spesso, tosse. Questo è il quadro più caratteristico del paziente a domicilio. Quando si complica con difficoltà respiratorie e, nelle situazioni più gravi, con la polmonite interstiziale, i pazienti vengono poi mandati in ospedale». Ancora non è chiaro perché, di casi in età infantile, ce ne siano stati pochissimi: «Non sappiamo ancora, in assenza di dati certi, se i bambini si ammalino senza sintomi e siano quindi lo stesso contagiosi o se non contraggano proprio per nulla il virus. Non disponiamo, infatti, di test per la determinazione degli anticorpi. Abbiamo solo a disposizione i tamponi per la determinazione del virus nelle secrezioni oro-faringe»«. Se il tampone è negativo, non è detto che il giorno dopo lo sia ancora: «Non solo. Per essere considerati clinicamente guariti e poter tornare a una vita normale, servono due tamponi negativi a distanza di 24 ore l’uno dall’altro. Si tratta di un altro importante e impegnativo pezzo di lavoro che stiamo facendo, complicato dal fatto che a volte la malattia tende e persistere e c’è bisogno di ripetere i test». Un’altra domanda aperta riguarda gli asintomatici, all’inizio della partita considerati innocui e ora, anche sui social, capri espiatori della diffusione del contagio: «Sicuarmente un ruolo ce l’hanno. Ma chiaramente la carica virale è più forte in chi, i sintomi, li ha più evidenti».