Coronavirus, stop alle rassegne dialettali, da non sottovalutare il loro ruolo

Romagna | 19 Aprile 2020 Cultura
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Federico Savini
Per lo più sono «amatori» e quindi non è invocabile lo stesso problema di ordine economico e sindacale che travolge la gran parte degli operatori del mondo culturale (attori, musicisti, organizzatori di eventi, maestranze di musei e teatri, in misura minore gli scrittori), però dietro alle rassegne di teatro dialettale ci sono investimenti e tanto lavoro, senza contare l’apporto sociale delle compagnie e dei teatri che ospitano le commedie. Su queste pagine abbiamo sempre raccontato il teatro dialettale per il ruolo culturale e identitario di una tradizione più importante di quanto spesso non si pensi. Oggi lo ribadiamo, ma puntiamo i riflettori anche sull’importanza chi eventi hanno per la socialità della parte più anziana della popolazione. Occasioni per uscire, ridere e ricordare, antidoti alla depressione, all’isolamento e alle malattie connaturate alla vecchiaia. E quindi, nel bel mezzo di un tornado epidemico che colpisce più di tutti proprio gli anziani, ci è sembrano giusto raccontare come il mondo del teatro dialettale vive l’emergenza. Così, abbiamo contattato Mario Gurioli, eminenza di una realtà virtuosa come la Filodrammatica Berton di Faenza (che non si limita al teatro dialettale e lavora tantissimo anche coi giovani), Alessandro Neri di Cvi de Funtanò, in rappresentanza della rassegna brisighellese «Un teatar par tott», Roberto Battistini di «Ritroviamoci al Rasi», che la Capit organizza all’omonimo teatro di Ravenna, e Graziano Dal Pozzo della storica rassegna di teatro dialettale alle Dune di Campiano, che salterà in toto proprio nell’anno della 51ª edizione.
Qual è la situazione? Pensate già all’autunno e ci sono problemi di ordine economico anche se non siete professionisti?
Alessandro Neri: «Eravamo a metà rassegna e l’ultimo decreto Conte ha messo fine ad ogni possibilità di terminarla. Come per ogni progetto che si interrompe, le ricadute economiche ci sono, anche se noi cadiamo in piedi, perché a inizio anno avevamo fatto una raccolta importante. La nostra rassegna, con i soli incassi delle serate, faticherebbe. Tra le ricadute negative segnalo che gli introiti di “Un teatar par tott” andavano alla casa protetta del Fontanone, a Faenza, e quest’anno purtroppo saranno meno. Come Cvi de Funtanò abbiamo fatto una nostra offerta all’ospedale di Faenza ma questa, naturalmente, è un’altra cosa. Penso a rassegne che praticamente non sono partite come quella storica di Campiano o quella di Alfonsine, che ha ricostruito un pubblico ma ha fatto un solo spettacolo, mentre a Imola c’è una compagnia che non potrà festeggiare i 100 anni...».
Graziano Dal Pozzo: «Il 1° marzo avremmo avuto il primo spettacolo... Avremmo riempito i fine settimana di due mesi con la 51ª edizione di una rassegna longeva e prestigiosa. Qui sono passate le davvero le generazioni del teatro dialettale, basti pensare che nell’atrio c’è il manifesto di Cla bela famiulena, commedia portata in scena dalla Rumagnola di Bagnacavallo con Giuseppe Parmiani regista e i figli Giuseppe e Arturo, coi nipoti Paolo e Gianni accreditati come i du burdel. Quello che dispiace più di tutto e non fare la rassegna. Poi ovviamente c’è anche un danno economico, basti pensare che ogni anno stampo circa 5mila programmi e affiggo una settantina di locandine».
Roberto Battistini: «Fortunatamente questa inevitabile interruzione è arrivata a tre spettacoli dalla fine sui 18 programmati, ma ciò non toglie che un danno economico ci sia e soprattutto che il futuro sia, ad oggi, particolarmente incerto. Duole in particolare il fatto che questo virus colpisca soprattutto le fasce d’età che più fruiscono del teatro dialettale. Se una rassegna come la nostra prosegue con tanti spettacoli, è anche merito delle compagnie, che chiedono pochissimo e oggi penso anche a loro, perché i gruppi privi di sostegni potrebbero non avere modo di ripartire dopo questo lungo stop».
Mario Gurioli: «Eravamo a buon punto ma salterà la nostra ultima commedia, La Moj de s-ciuparen, che vorremmo recuperare in au
tunno e a Capodanno, poi sono saltati i cinque Lon ad Merz, salteranno i saggi finali dei laboratori e la rassegna “Ci piace recitare”, con le scuole medie faentine, che ovviamente coinvolgono un pubblico tutt’altro che anziano! In estate organizziamo tradizionalmente l’Agosto d’Argento, che è in forse. Gli spettacoli sono all’aperto, però parliamo di 300 persone a sera, che sono tante. Per la prossima stagione avremmo anche il calendario già imbastito, ma ci regoleremo secondo le disposizioni. Come costi, nessuno della Berton guadagna un euro, ma abbiamo le spese vive per le scenografie e ad esempio ci toccherà procrastinare alcune ristrutturazioni che avevamo in mente».
Come quantifichereste quello che sta perdendo il vostro pubblico, a livello sociale?
Alessandro Neri: «Posso dirti che quando è esplosa la problematica e si è resa necessaria la serrata, la persona che organizzava lo spettacolo è stata sommersa dalle telefonate, per sapere se la compagnia sarebbe comunque andata in scena. Questo dimostra che c’è grande affezione per la rassegna qui a Brisighella, tanto che abbiamo almeno 100 spettatori ogni sera, con un nocciolo durissimo di appassionati. Ovvio che non parliamo di sacrifici paragonabili alla quarantena o ai ricoveri, ma tante persone senza il dialettale perdono qualcosa di importante. Non parliamo poi degli attori, che sentono subito la lontananza dalla scena».
Graziano Dal Pozzo: «E’ un pubblico attempato, che purtroppo perde pezzi gradualmente, come vedo da 50 anni. Il teatro dialettale fa anche cultura, se si pensa a commedie come La Broja di Bruno Gondoni, ambientata ad Ostia, dove si racconta un pezzo di storia bracciantile ravennate. Alle Dune, oltre alle commedie facciamo attività sociali di vario genere e quest’anno avevamo avviato una collaborazione con Ravenna Teatro ed Ermanna Montanari, che aveva progettato una serata sulla storia antica di Campiano. In passato questa sala ospitava fino a 700 persone, oggi meno ma le serate sono occasioni per uscire di casa».
Roberto Battistini: «Abbiamo contattato molti abbonati quando cominciava a profilarsi l’ipotesi di sospendere la rassegna. Nessuno ci ha chiesto indietro soldi. “Vogliamo venire a teatro la domenica pomeriggio” è quello che ci hanno detto tutti, facendoci capire quanto sia importante questo appuntamento per alleggerire la vita di tante persone».
Mario Gurioli: «Per le compagnie, specie le piccole e giovani, un simile stop può avere ripercussioni sull’attività futura. Nel nostro caso, noi lavoriamo in un teatro dell’Opera Pia, adiacente alla casa di riposo del Fontanone, ed è il danno agli ospiti della struttura che mi preoccupa. Parliamo di una ventina di persone che ogni sera sono nel pubblico, per le quali i nostri spettacoli, così come l’Agosto d’Argento, rappresentano un’occasione per tornare in mezzo alla gente. Per il resto, sono comunque tante le persone che ci dicono che l’inizio della nostra stagione è per loro l’input per uscire di casa, per spegnere la televisione. Il teatro dei Filodrammatici è un punto di aggregazione culturale, magari non sarà sempre cultura alta ma ha un ruolo anche sociale. Vedi anche i numeri: la commedia che salterà avrebbe avuto cinque recite, quindi 7-800 spettatori, più i 4-500 del Masini a fine anno».
Sarete pronti a tornare a far sorridere dopo questa pandemia?
Alessandro Neri: «L’inattività sarà lunga e avrà conseguenze, ma penso che chi ha la passione del teatro, di ogni tipo di teatro, ritroverà la voglia di sorridere e stare insieme. Più che altro è difficile pianificare il futuro. Noi in questi giorni avremmo chiuso la stagione, con la serata più bella dell’anno, e a metà giugno avremmo cominciato a pianificare per l’autunno. Si dice che teatri e cinema saranno gli ultimi a riaprire, quindi forse penseremo direttamene ai primi mesi del 2021».
Graziano Dal Pozzo: «A Campiano, la nostra forza è sempre stata quella di riconvertirci, quindi vedremo l’evoluzione di questa situazione. Penso che le attività teatrali riprenderanno ma sono meno ottimista su quelle sociali. L’idea di convivere con il virus ha tante variabili, non si può prevedere quale sarà la reazione psicologica delle persone a questo nuovo stato di cose. Per tornare a far funzionare questo genere di spazi e attività teatrali, bisognerà recuperare il vecchio ottimismo».
Roberto Battistini: «Faremo di tutto per riprogrammare la nostra attività al Rasi nel 2020/2021, e ad esempio forse sposteremo in serata gli spettacoli non dialettali, che da alcuni anni abbiamo in calendario. Le rappresentazioni sospese per l’emergenza vorremmo riproporle possibilmente in autunno. In un quadro di incertezza generale, posso comunque dire che non pensiamo assolutamente di chiudere».
Mario Gurioli: «Sicuramente, perché tornare a ridere è una cosa che bisognerà fare. A chi me lo chiede, dico che questo virus è peggio della guerra, perché durante i bombardamenti c’era la sirena, ci si nascondeva, la bomba cadeva e dopo, almeno, c’era un po’ di tregua. Questa volta no, la paura del virus è sempre viva e temo la porteremo con noi anche dopo. Per questo tornare a ridere si deve».


 
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